Il gioco del basket con il tempo mi ha insegnato molto. Tra le varie regole,
tecniche di gioco e falli ce nè uno che ho sempre faticato a
comprendere. Il fallo di sfondamento.
In sostanza
è quel fallo che viene fischiato in favore della difesa nell'istante
in cui uno dei giocatori della squadra che porta palla e sta giocando
in attacco, praticamente finisce addosso ad uno dei giocatori della
squadra in difesa (che nel frattempo è fermo) facendolo cadere a
terra.
Certo è una
spiegazione un pò contorta, sarebbe più semplice vedere il fallo in
azione per capirlo. Anche perchè ci sono sempre delle variabili
soggettive e a discrezione di chi arbitra che vanno ad incidere sul
fallo di sfondamento.
Mi ricordo
di averne subiti di falli per sfondamento, ma uno in particolare è
ancora lucido nella memoria. La mia squadra contro una squadra di un
comune limitrofo. Tra le avversarie una cara amica con cui avevo
giocato insieme anni prima nella stessa squadra e che ora era dal
lato opposto del campo di gioco.
Conoscendola
sapevo che aveva più esperienza di me, era più abile nel portare
palla e nel correre verso canestro. Difesa a uomo, a me è toccata
proprio lei. La sola soluzione che mi venne in mente fu di fermarmi,
posizionarmi con i piedi ben saldi al suolo e lasciare che in una
frazione di secondo lei mi venisse addosso – non aveva altre vie da
percorrere in quel momento – facendomi cadere a terra e sentendo
fischiare fallo di sfondamente, a favore della squadra per cui
giocavo.
Al tempo non
fu una lezione così importante. Pensavo solo a dare il meglio in
campo e magari a portare a casa la partita.
Oggi quel
fallo di sfondamento m'insegna l'importanza della giusta vicinanza.
Sentiamo
spesso usare l'espressione "giusta distanza" ma nel lungo
periodo sta lunga distanza rischia di allontanare sempre più, invece
di sortire l'effetto contrario.
E la cronaca
di questi ultimi anni ne ha da dire al riguardo.
E penso al
messaggio che un'amica mi ha scritto proprio in questi giorni in
risposta a delle scuse che ho sentito di fare, scuse legate a
difficoltà relazionali di un tempo ormai passato da un bel pò.
Scrive: "Il
nostro legame alla fine di tutto è sopravvissuto ai silenzi. La
comprensione credo abbia fatto da timone a tutto questo".
Allora penso
che sarebbe più saggio parlare di "giusta vicinanza", un
pò come trovarsi nel bel mezzo di una partita di basket, avere la
palla tra le mani e la responsabilità di andare a canestro, trovarsi
davanti un'avversaria che di certo cercherà di farsi fischiare fallo
per sfondamento. Ed è lì, nell'esatto istante in cui sei lucida e
consapevole che - basta quel mezzo passo in più, basta un palleggio
di troppo a farti carambolare addosso all'avversaria - che ti fermi
alla "giusta vicinanza" e passi palla, sperando così di
fare pure canestro.
Forse la
chiave per vivere relazioni più sane, più consapevoli, più vere
sta nel trovare ciascuno la "giusta vicinanza" che diviene
presenza
senza per forza opprimere
sostegno
senza per forza sostituire
condivisione
senza per forza invadere
ricchezza
senza per forza voler indietro
accoglienza
senza per forza farsi giudice
amore senza
per forza doverlo ricambiare
rispetto
senza per forza divenire ferita da curare.
Forse –
almeno per me – la giusta vicinanza è tutta qui. Un gesto piccolo,
a volte talmente insignificante da riuscire a fare tutta la
differenza nel mondo delle relazioni.
E le
relazioni sono sempre più importanti dei contenuti.
E le
relazioni sono tali solo quando si crea la giusta vicinanza che fa
stare bene l'uno di fronte all'altro.
E le
relazioni, i legami umani, forse hanno davvero bisogno del "timone
della comprensione" per restare a galla durante le tempeste
della vita e per tenere la rotta ottimale durante i giorni di calma
piatta.
Insomma, se
possibile, evitiamo il fallo di sfondamento e cerchiamo soluzioni
alternative, che ci sono sempre o quasi. Che poi alla fine la partita
la vince non per forza il più forte, ma chi sa rispettare la giusta
vicinanza e girarla a proprio vantaggio per il bene della squadra.
Ky