lunedì 30 aprile 2018

Quando tira vento, un'occasione per chiedersi se si è sulla buona strada.




C'è vento fuori, quel vento che piega le cime degli alberi.
Quel vento che spazza via le nubi dal cielo.
Quel vento che spesso arriva ad indicare la direzione migliore.
Ed ancora quel vento che invece altre volte fa ingarbugliare idee e pensieri che parevano nitidi e chiari fino all'istante precedente.
Mi piace il vento, anche se a volte è pungente e freddo.
Che poi ogni volta che c'è vento che mi scompiglia i capelli, che mi costringe a coprire la gola e gli occhi, mi fa sentire un pò come una bandiera.
C'è anche un modo di dire "essere come una bandiera al vento".
La maggior parte delle volte con il significato di non avere le idee chiare, di cambiare opinione in base a dove fa più comodo, in base al momento, come una sorta di rifiuto nel prendere una posizione definitiva o quasi.
E poi penso alle bandiere di stoffa a forma di cono, di solito a striscioline colorate rosso bianche, che sono posizionate sopra i tetti e che fanno un pò da segnalatica alle correnti che poco o spesso passano sopra le nostre teste.

È interessante sapere la direzione dei venti, capire se è vento di libeccio o di scirocco, se tira aria di tramontana o maestrale, se è tempo di lasciar soffiare i venti di levante o di ponente, capirne la direzione, quasi sentire un senso di sicurezza nel saperne leggere le trame che disegna sulla pelle, tra i pensieri, su ogni cosa animata o inanimata che sfiorano e toccano.

E il vento mi fa pensare al pensiero di Heidegger che distingueva tra un'esistenza vissuta così come viene e il guidare la propria vita.
Ecco, qui rispondere non è mai semplice, a volte è più complicato che dover risolvere un problema matematico.
Anch'io mi divido tra un'esistenza vissuta così un pò come viene, un pò alla giornata, forse forte della giustificazione che non è in mio potere sapere cosa accadrà da qui all'istante successivo.
Un pò come un Don Chisciotte che cerca di battersi contro i mulini a vento con scarsi risultati.
E poi invece mi ritrovo a sentire che la vita la sto guidando io, magari con fuoriuscite e sbandate lungo le strade dell'esistenza, magari con curve secche che prendo male, magari con tanti interrogativi che come paletti segnaletici cercano di farmi stare o rientrare sulla buona strada.

Buona strada che ha quel significato profondo e intimo che va al di là dello stare al mondo, un pò come possono fare i sassi. Buona strada che ha il sapore del sapersi domandare "il come si sta al mondo", perchè solo così si può fare davvero conoscenza con ciò che ci circonda e con sè stessi.
E fare conoscenza con sè stessi e con il mondo attorno è questione di darsi tempo.
Un pò come stare a sentire il vento sulla pelle, godere del suo sollievo nella calura estiva, fuggirlo nei giorni dei freddi inverni, ma lasciarlo passare come fosse guida e indicatore di buona strada.

Ed allora che buona strada sia, con o senza vento, con giornate vissute un pò come viene e giornate in cui si è umili ma generosi e coraggiosi capitani al comando delle proprie esistenze. Ed esserne consapevoli è già un ottimo passo per sentirsi sulla buona strada.

Ky



lunedì 23 aprile 2018

AAA scrittori di speranza cercasi (con o senza esperienza)




Oggi è la giornata mondiale del libro. E penso non solo ai molti libri letti fin qui, ma a quello che custodiscono dentro ogni pagina, le parole. Parole che hanno un loro peso ma anche una loro leggerezza.

E credo che le parole sono come finestre.
Un pò come le tante finestre immaginarie che si aprono sui nostri pc e smartphone ogni giorno.
Finestre che a volte chiudiamo, altre volte lasciamo aperte. Forse perchè ce ne dimentichiamo, forse perchè sono importanti.
E proprio come le finestre che apriamo e spalanchiamo nelle nostre case per far passare aria pulita e far uscire quella viziata e pesante che si accumula nei luoghi chiusi, così sono le parole.
Servono a dare respiro alla nostra mente, a togliere l'aria viziata dai nostri cuori, a spolverare così, come un vento gentile a volte altre più impetuoso, tutte le ragnatele e la polvere che si accumulano negli angoli più nascosti e difficili da raggiungere. Parole che alleggeriscono i pesi che sentiamo dentro o che cercano di trovarne una spiegazione. Parole a cui attaccarcisi come fossero l'unica corda che può salvarci dal precipizio.

Le parole sono come finestre.
Le parole mi hanno sempre dato l'impressione di essere vocaboli di speranza.
Certo a volte anche termini forti che usiamo per ferire, umiliare, ostacolare, denunciare ma – almeno nella mia quotidianità – leggo, ascolto, osservo parole che hanno quel sapore indescrivibile che tende al significato di essere, allo scopo di vivere, al potenziale nascosto da far uscire, alla gratitudine per quello che accade ogni istante.

Le parole sono come tante finestre.
Finestre che si aprono sulla quotidianità familiare, lavorativa, relazionale, affettiva. Le parole sono le tante finestre che apriamo per creare legami, per spiegarci o chiedere la direzione in terre straniere, per prendere il largo quando navighiamo su mari che non conosciamo e così tenere memoria - come tanti appunti sparsi nei diari dell'anima - di passi, viaggi, decisioni, paure, gioie, imprese, sconfitte...diari utili a sè stessi per far tesoro dei passi compiuti.

Le parole sono come tante ed infinite finestre e proprio per questo sono alla costante ricerca di scrittori di speranza (con o senza esperienza).
Perchè le parole sono come un maestro. Ma non un maestro come lo si immagina sempre, saggio, luminoso e seduto in meditazione. No. Ma piuttosto come lo descrive Rachel Naomi Remen

"un maestro non è un saggio, ma un dito che ci invita a prestare attenzione alla realtà che ci circonda".

Il compito delle parole, di chi le scrive, di chi le pronuncia è proprio quello di "prestare attenzione alla realtà che ci circonda" e per fare questo bisogna essere bravi osservatori, buoni ascoltatori, pazienti testimoni.

Le parole sono come tante ed infinite finestre.
Se riusciamo a spalancarle verso la speranza la rotta è quella buona.

Ky

*immagine presa da twitter

mercoledì 18 aprile 2018

Take care, l'importanza del tenere nel cuore e a cuore chi siamo e chi incontriamo.




- Take care.
- You too.
Finivano sempre così i saluti tra noi e il nostro amico e collaboratore birmano, in Thailandia.
Un modo diverso dal comune saluto, un modo che mi faceva andare via con una bella sensazione addosso, un modo più profondo per dire l'importanza del tenere nel cuore e a cuore chi abbiamo davanti ma anche chi siamo.

In questi giorni sto leggendo la biografia dell'ex famoso tennista Andre Agassi e mi sono chiesta
"cos'ha in comune con la biografia di Mandela?"
Due personalità all'apparenza così distanti – non solo geograficamente – con due vite molto diverse.
Uno campione di diritti umani e l'altro per molti anni numero uno nel panorama mondiale del tennis.
In comune hanno il carcere.
Un carcere fisico e reale per Mandela, un carcere mentale per Agassi.
Ma sempre un carcere resta. E questo loro modo così atipico di vivere il tempo e lo spazio del carcere, li ha condotti alla stessa riflessione.
Nel 1997 in uno dei suoi molti discorsi, Mandela tocca un tema fondamentale che è senza tempo, che riguarda ogni essere umano.

"Il tema: dobbiamo tutti avere cura gli uni degli altri
è questo il nostro compito nella vita.
Ma dobbiamo avere cura di noi stessi,
il che significa che dobbiamo prendere con cura le nostre decisioni,
intrattenere con cura i nostri rapporti personali,
riflettere con cura su ciò che diciamo.
Dobbiamo gestire la nostra vita con cura,
per evitare di diventare delle vittime".*

L'importanza di avere sempre cura del nostro sè, l'unica via percorribile per avere così la necessaria capacità di cura verso gli altri.
E questo l'ha capito, non dopo molte difficoltà interiori e di gioco, anche Andre Agassi. Una sorta di spiraglio di luce in uno dei periodi più bui della sua vita personale e di professionista.

"Aiutare Frankie mi dà più soddisfazione e mi fa sentire più connesso e vivo e me stesso di qualsiasi altro evento del 1996.
Mi dico: ricordatelo. Tienitici stretto.
È l'unica perfezione che esista, la perfezione di aiutare gli altri.
È l'unica cosa che possiamo fare che abbia un valore o un significato duraturo.
È per questo che siamo qui.
Per farci sentire sicuri a vicenda".*

Bisogno di prendersi cura di sè e di chi abbiamo accanto. Che siano gli affetti più cari, o i colleghi di lavoro, che siano i clienti per e con cui lavoriamo o che siano persone a noi sconosciute e lontane.
C'è sete del prendersi cura, del fare con cura per creare così quella necessaria vicinanza che permette di sentirci al sicuro e di far sentire al sicuro – per quanto possibile – ogni persona che entra in relazione con noi. Ed è proprio questa comprensione e consapevolezza che si carica di valore e significato. La capacità di esserci per sè stessi e per gli altri.
La capacità del fare nostro il "take care", quel prendersi cura ogni istante, giorno dopo giorno di chi siamo e di chi incontriamo. E questo è possibile solo prestando attenzione alle decisioni che prendiamo, alla gestione dei nostri rapporti interpersonali, a ciò che esprimiamo con le nostre emozioni, alle parole che scriviamo e diciamo.
Restare connessi, tenercisi stretti per creare valore e significato duraturo nel tempo.
Take care, l'importanza del tenere nel cuore e a cuore chi siamo e chi incontriamo.


Ky


*Open, la mia storia Andre Agassi, Einaudi.

lunedì 16 aprile 2018

Che responsabilità...i lunedì!




Prendere spazi per sè. Necessario, assolutamente necessario, soprattutto con i ritmi che si hanno in questo Occidente che sembra stia rincorrendo l'oro stile Far West.
Ma quale oro poi?

E penso al lunedì, il giorno più criticato di tutta la settimana.
Che poi ha solo la sfortuna di essere il primo giorno di ritorno alle occupazioni lavorative per la maggior parte delle persone.
Una convenzione il suddividere il tempo in giorni, per comodità o forse perchè altrimenti ci sentiremmo persi a dover seguire i ritmi della natura.
Pensandoci, la settimana potevamo pure farla iniziare di martedì, ma non sarebbe cambiato nulla nella sostanza.
Quasi a doverci giustificare se decidiamo, magari timidamente, di prendere tempo per noi stessi.
Ma giustificarci con chi?
Con il nostro capo, con la nostra famiglia o con la nostra coscienza forse?!

Sembra che il "tutto" sia sempre più importante del "sè".
Sembra che il lunedì sia la pecora nera della settimana.

Credo che il tempo in cui viviamo meriti un pò più di consapevolezza, rispetto e cura per sè stessi.
Il resto per quanto fondamentale sia nelle nostre vite - affettive, relazionali, lavorative – è sempre contorno.
Contorno necessario ed importante a ricordarci che siamo persone, ancor prima di essere figli, padri, madri, studenti, mogli, mariti, compagni, lavoratori...
Contorno per aiutarci ad esserlo in modo migliore.

Che tanto poi - gira e rigira - inizia tutto dal sè, un pò come la settimana inizia dal lunedì.
Ed i lunedì hanno una gran bella responsabilità.

Ky



Tutto è impermanente


Come leggere un libro, ascoltare un brano musicale, guardare un film.
E penso che forse la vita è meno ingarbugliata tra le pagine di un libro, nel testo di una canzone, dentro lo schermo di un cinema.
E mi resta addosso la sensazione che i personaggi di libri, canzoni, films siano sempre o quasi più coraggiosi di me.
Come se, qualunque cosa accada, loro abbiano sempre quella capacità di rialzarsi da terra, di trovare una via d'uscita, di farcela sempre - in un modo o nell'altro - a raggiungere l'obiettivo.
Come farsi scompigliare i capelli da un'improvvisa raffica di vento e poi accorgersi che in realtà è la vita che spettina di continuo gesti, parole, progetti, idee, movimenti, amori quasi a voler rimescolare il mazzo di carte una volta in più, quasi a voler ricordare che in fondo - ogni gesto, parola, azione, idea, progetto, movimento, amore – altro non è che una folata di vento da cogliere al volo, da prendere (come facevo da piccola) come le farfalle. Prenderle nel retino, ammirarne la bellezza e poi lasciarle andare per la loro strada.
Una folata di vento impermanente, come la vita, come le persone, come gli istanti.
Ky

Le parole, il mio modo di ascoltare il mondo





Non tutte le giornate sono uguali.
Ci sono quelle in cui ti svegli con un mare di idee che non vedi l'ora di mettere nero su bianco prima che scivolino via.
Ci sono invece le giornate in cui ti svegli e vorresti solo restare sotto coperta.
Non so bene quale sia la giornata di oggi, forse un mix di entrambe.
Ed allora scrivo. Mi affido alle parole, perchè ho capito che sono le parole il mio modo di ascoltare il mondo, le persone, le situazioni, me stessa. 
Le parole e tutto quello che sta dentro, accanto, di lato, tra le righe. 
Già perchè le parole, nonostante prese singolarmente abbiano sempre un loro significato o una loro ragion d'essere, quando sono legate ad altre parole assumono forme nuove, suscitano immagini impreviste, raccontano emozioni, cercano di dare rilievo alla quotidianità, tentano di dare spiegazioni che altrimenti non ci sarebbero, desiderano essere quel ponte - invisibile ma necessario - per entrare o restare in contatto con l'altro, soprattutto quando ancora non si conosce.
È come fossero la nostra impronta digitale verbale. 
Quella prima impronta che segna un pò la rotta di quella che potrebbe essere una conversazione qualunque.
Ky

sabato 7 aprile 2018

Quando "se" e "ma" ci ricordano l'importanza di ogni scelta



Vedendo comignoli spenti, balconi aperti o semi chiusi, persone dentro i loro cappotti che percorrono quell'angolo di via che si vede da casa tua, penso a quante vite ci passano accanto ogni giorno, a quante ne incrociamo o sfioriamo. Eppure solo alcune, poche, pochissime ci sfiorano così intensamente da divenire pelle e cuore che si tocca, si riconosce, decide d'incontrarsi e fermarsi per tratti di strada più o meno lunghi. E la cosa straordinaria è l'intensità con cui il tutto spesso inizia. Un'intesità che travolge e avvolge. 
Un'intesità che a volte lascia aperta la porta della necessità di tempo per conoscersi meglio, altre volte che rende le cose di colpo chiare. 
Un'intensità che rende sempre e comunque l'atto dell'incontro un luogo sacro su cui poggiare con delicatezza passi, sguardi, mani, gesti, parole, silenzi, ascolto e forse, ad un passo successivo, anche labbra (in caso di relazioni affettive).

Ogni incontro diviene scelta. Ogni scelta reca con sè un inevitabile addio ad altre possibili scelte. 
E ci sono gli istanti in cui ti sfugge quel pensiero – spesso comune – che diventa cassa di risonanza dentro sè stessi ripetendo quasi come un mantra le parole "e se avessi scelto diversamente?". 
Questo vale in ogni tipo di relazione. È dalle relazioni che nascono affinità, necessità di conoscersi meglio, possibilità di compiere percorsi lavorativi o di vita fianco a fianco.

Mia nonna diceva sempre che con i "se" e con i "ma" non si fa mai tanta strada. Forse aveva ragione. Un pò come quel detto che recita "mai piangere sul latte versato". Fosse facile staremmo tutti decisamente meglio. Tutti contenti ciascuno dietro la scelta del momento. Senza rimpianti, senza strascichi inutili di "se" e "ma". Tutti a godersi l'istante della scelta fin che dura, tanto poi arriverà il tempo per una scelta nuova. E di nuovo il ciclo si ripete senza "se" e senza "ma". 

Eppure sento che tutti i "se" e tutti i "ma" hanno una loro ragion d'essere. Come fossero lì appositamente per darci i tempi di stop. Tempi di fermate necessarie per capire una volta in più se il nostro autobus è il numero 54 oppure il numero 8, se "quella" scelta è proprio quella che fa per noi. 
Ed i "se" ed i "ma", seppur fastidiosi, servono proprio a questo scopo. Due congiunzioni che cercano di fare da filo conduttore tra un prima ed un inevitabile dopo. Due piccole connessioni che tentano d'indagare, a volte in maniera delicata altre in modo dirompente, dentro l'animo umano facendo nascere dubbi, tentennamenti, pensieri contraddittori o ancora facendo scorgere che forse davvero la scelta compiuta è la migliore tra le tante che si sono presentate sull'uscio di casa. 

Un pò come trovarsi di fronte alla vita, la vita quasi fosse il nostro possibile datore di lavoro in cerca di diversi candidati per la stessa offerta di lavoro. Diversi volti, diverse modalità, diverse sensazioni che pelle e pancia c'inviano, diversi curriculum, diversi approcci, diverse idee e pensieri. Ed anche qui i "se" ed i "ma" possono fare da spartitraffico per farci scegliere la direzione da seguire, per farci valutare con più attenzione a chi di noi candidati spetterà il posto. E la vita è un continuo lavoro su di sè, verso e con gli altri. È la vita offre sempre lo stesso posto di lavoro per tutti, a ciascuno poi far emergere la propria unicità, il proprio talento e passione.

Ed è per questo che, a differenza del pensiero di nonna, credo che ci sono sempre un "se" ed un "ma" necessari a ricordarci l'importanza di ogni nostra scelta. 

Ky




martedì 3 aprile 2018

E se la mucca viola scalcia? Significa che c'è. Punto.




Curioso come piccoli dettagli, portino a galla riflessioni mai pensate o su cui mai ci si sofferma.
Per troppa fretta o eccessiva superficialità. Comunque sia, di solito la differenza la fanno i dettagli, quelli meno visibili o quelli decisamente eccessivi. E ripenso al libro di Seth Godin. Libro che mette in evidenza l'importanza di essere una mucca viola in mezzo ad un mondo tutto marrone.
Certo, il concetto si riferisce a quella strana parola che mi piace pronunciare poco ed usare ancora meno, ma che è divenuta parte della quotidianità lavorativa: marketing.
Nello specifico la Purple Cow è quel "qualcosa di fenomenale, inatteso, entusiasmante e assolutamente incredibile che è dentro il prodotto. O c'è o non c'è. Punto.".*

Guardando questo concetto da una prospettiva più umana, penso che la mucca viola possa essere la chiave di lettura per comprendere un pò di più quello che sta accadendo in questo tempo che tutti definiscono di "crisi", ma che a distanza d'anni non si può più definire tale. Un lungo periodo di stallo in cui c'è chi si trova a galleggiare dentro il solito tram-tram quotidiano e logorante, chi non ne ha più le possibilità o non le cerca e chi invece riesce ad uscire da questo tzunami, che pare aver travolto - sotto altissime onde - quasi tutta l'umanità.

No so ben definire dove mi trovo, forse con le gambe ancora impantanate nel fango, con testa e braccia che cercano un appiglio su cui fare leva per uscire allo scoperto. Di fatto, conta che sento scalciare a più non posso quella mucca viola che mi vive dentro. Mucca viola che si deve scontrare di continuo con tutte le mucche  marroni che la circondano: paure, incertezze, dubbi, delusioni, errori, direzioni non chiare, pippe mentali, giudizi e pre-giudizi che mi porto dentro, consigli poco chiari di chi vuol farti credere che ne sa più di te e che ha trovato il modo per "uscire dalla crisi" . E che, allargando la visuale, l'umanità si porta dentro come un peso che fatica a scrollarsi di dosso.
Mucca viola che presenta una sostanziale differenza dalla Purple Cow proposta da Godin. Mucca viola che è ancora "qualcosa di fenomenale, inatteso, entusiasmante e assolutamente incredibile che è dentro" (in questo caso dentro noi) ma che si differenzia dal fatto che "o c'è o c'è. Punto.".

Esattemente così "o c'è o c'è. Punto.". Tutti, anche chi non lo immagina, nasconde da qualche parte quella mucca viola che aiuta o può aiutare a fare la differenza nella vita. Nella propria vita in primis e poi forse anche in quella di qualcun altro. Questo si può verificare in vari ambiti: lavorativo, relazionale, familiare, sportivo.
Tutti abbiamo una macchia viola che compare in qualche spazio di pelle (spesso non così visibile) e che ci fa sentire meglio con noi stessi e con gli altri. Che ci aiuta ad affrontare crisi, problemi, urgenze ed emergenze con lenti più trasparenti e meno appannate o sporche. Macchia viola che può essere un'idea innovativa, un progetto che potrebbe migliorare la vita di molti, una scoperta mai fatta prima, una comprensione più ampia e differente sul come affrontare a testa alta la crisi e via di questo passo.

Insomma, una mucca viola che scalcia perchè sente che ha qualcosa da dire, qualcosa da progettare, qualcosa da raccontare, qualcosa da condividere e per cui vivere.
Mucca viola che davvero può diventare la chiave per cambiare prospettiva, cambiare direzione, cambiare significato al vivere di sempre. Cambiare così approccio e sperimentarlo in tutte le varie attività, azioni e relazioni che viviamo e svolgiamo quotidianamente.
E mi piace l'idea di trovarmi il corpo ricoperto di macchie viola. E non importa se gli altri le vedono oppure no. Importa che a vederle sia io, intanto. Il resto poi si vedrà. Con il tempo si vedrà. Perchè la Purple Cow "o c'è o c'è. Punto.".

Ky

*La mucca viola – Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone di Seth Godin, ed. Sperling & Kupfer


"Che cosa vuole il mondo da noi?" (Keep calm, goditi il viaggio e passa il favore)

Curioso. Decisamente curioso come un pensiero possa improvvisamente materializzarsi. È successo circa 3 mesi fa, dopo il mio rientr...