lunedì 16 luglio 2018

"Che cosa vuole il mondo da noi?" (Keep calm, goditi il viaggio e passa il favore)




Curioso. Decisamente curioso come un pensiero possa improvvisamente materializzarsi. È successo circa 3 mesi fa, dopo il mio rientro dall'ennesimo viaggio tailandese. Lì ogni anno vivevo con qualche gatto che decideva di passare tempo con me e Nadia. Ogni volta poi la ripartenza era segnata da qualche senso di colpa legato al dover separarsi da amici birmani e tailandese ed anche dai tanti amici pelosi. Poche settimane dopo il ritorno a casa ricordo di aver detto a Nadia che stavo meditando di prendere un gatto, ma non un gatto qualunque, un gatto che mi sarebbe piaciuto portare in giro con me o che perlomeno mi seguisse in brevi tragitti. Ma era solo un pensiero. Con la vita di corsa che faccio, da quando sono tornata, forse avere un amico a quattro zampe per casa non è proprio il top.

Eppure non so da dove, non so come e nemmeno perchè, è arrivato lui. Lo vedevo gironzolare nei dintorni del quartiere dove abito. Magro, timoroso, inavvicinabile, affamato. Così un giorno, come i tanti soliti altri, ho deciso di dargli una scatoletta di tonno.
Amore a primo boccone. Non verso di me certo, verso il tonno di sicuro.
Da qui ha iniziato a seguirmi fin davanti l'ingresso di casa. Con le sue tempistiche feline molto zen, s'intende. Una volta aperta la porta con molta disinvoltura si è diretto verso le scale, poi sala/cucina, camera da letto, terrazzo ed infine è approdato con un bel balzo sul divano.
Okey. Il gatto si è scelto casa ed umano.
Il problema del "lo tengo o non lo tengo" non mi ha sfiorato nemmeno per un attimo. Per lui era evidentemente scontato, senza possibilità di replica alcuna.
Il dilemma poi del nome. Ma è maschio o è femmina?
Impossibile capirlo vista la quantità di pelo e la confidenza ancora da instaurare.
Butto lo sguardo sul tavolo dove c'è più disordine che altro, e mi soffermo sul titolo del libro del famoso tennista Andre Agassi. Open, il gatto lo chiamo Open.
Poco importa se è maschio o femmina, sta bene in entrabi i casi.
Ed Open sia.

Alla luce di questo incontro non sono divenuta una fervente credente della legge di attrazione che tanto scalpore e tanti bum ha fatto in questi anni. Credo più che altro alla necessità d'incontrarsi e di lasciarsi avvicinare. A come ci siano situazioni inevitabili ed inamovibili da cui è d'obbligo passare. Perchè dietro c'è sempre un insegnamento da cogliere. Perchè sotto c'è un motivo che spesso non è così luminoso, direi più che altro ombroso, ma che volendo si può far emergere. Perchè probabilmente di quell'incontro abbiamo bisogno. Perchè nella vita ogni cosa, ogni situazione, ogni trovarsi, vanno colti ed accolti. Perchè la vita, per quanto la mettiamo sotto sopra ogni 2x3, ha bisogno di significato. Un pò come i famosi treni che passano e che si dice una volta persi non tornano più. Ci credo poco. Credo di più ai treni che passano di continuo, ciascuno con un qualcosa di nuovo e diverso da scoprire. E se si perde pazienza. Non era semplicemente il momento. Ripasserà, prima o poi.
Ecco, con Open sta succedendo proprio questo. Ogni giorno lui scopre qualcosa di me, io scopro qualcosa di lui. Lui insegna qualcosa a me, ed io bhè... lo nutro, lo coccolo e...sì insomma lui comanda più che altro. Ma la compagnia, l'affetto che regala, i pensieri che mi ispira mentre combina qualcosa dentro e fuori casa e le risate che mi strappa sono impagabili.

Da quando c'è Open nella mia vita mi torna spesso in mente il film Un sogno per domani tratto dal libro La formula del cuore di Chaterine Hyde, che si basa su una storia vera.
Nel film Kavin Spacey ricopre il ruolo di un professore di scienze sociali un pò alternativo e che dà compiti in classe altrettanto alternativi.
Tra i vari compiti chiede agli alunni di trovare il loro modo per rendere il mondo migliore attraverso la domanda "cosa vuole il mondo da noi?".
Un ragazzino, Trevor, più alternativo degli altri e dello stesso professore, comprende che solo compiendo azioni buone il mondo può essere un posto migliore e s'inventa il "passa il favore". In sostanza Trevor spiega che

"occorre fare una buona azione per tre persone, una cosa che sia importante per loro, che le sia utile sul serio, a patto che però le tre che ricevono il favore promettano di fare altrettanto per altre tre persone...".

Ora, non serve che per forza si compia una catena così. Forse sarebbe un pò troppo utopistico, soprattutto oggi. Ma nella nostra quotidianità, tra le mura domestiche, nei luoghi di lavoro, a scuola, nello sport, in viaggio è sempre possibile mettere in atto il "passa il favore".

E la vita, le relazioni, gli incontri dovrebbero essere un pò così. O simili.
Chiedersi "che cosa vuole il mondo da noi?" può essere un buon punto di partenza, un ottimo trampolino di lancio.
Una sorta di continuo passa il favore in cui nessuno ci rimette, ma tutti ci guadagnano un qualcosa, quel qualcosa che spesso fa la differenza. E così ci si sceglie per stare insieme ed abbozzare nuovi percorsi di vita, per condividere progetti lavorativi, per confrontarsi su idee e passioni, per farsi quattro sane risate e per qualunque altro motivo si voglia.
Perchè è insieme e attraverso le azioni buone che si cresce. Insieme che si diventa migliori. Insieme che cambiano le prospettive di vita, i pensieri, le parole, i silenzi, le azioni. Insieme che il significato del vivere assume spessore.
Alla fine, insieme è sempre meglio che da soli. In tutti i casi, o quasi.
E come mi fa intendere Open: keep calm and goditi il viaggio (e se passi il favore mi fai un favore)!


Ky


martedì 10 luglio 2018

Non dire al mondo di essere una rockstar. Suona caxxo!




Viaggiando sono cresciuta molto. Molto più rispetto alla Chiara che ero s'intende.
Ho scoperto molto del mondo, di me.
Ho scoperto quanto è necessario riuscire a creare qualcosa con quello che ci rimane tra le mani.
Già. Perchè spesso la vita prende direzioni che non avevamo messo in conto.
Già. Perchè la vita si crea di solito partendo da dove si è, con quello che si sa e con quello che si ha a disposizione.
Tutti (o quasi), anche i più famosi e grandi personaggi, sono partiti da qui.
Il punto di partenza spesso è simile. Il modo per arrivare a destinazione cambia.
Resta sempre e comunque la fatica per arrivare lì. Proprio lì dove desideriamo.
Resta il fatto che la vita non è mai facile. Non sempre almeno.
Resta il fatto che la vita spesso assomiglia al violino di Itzhak.

E non conscevo la storia del violinista Itzhak Perlman.
18 Novembre 1995. Esibizione al Lincoln Center di New York.
Entra in scena. Con lentezza attraversa il palcoscenico. Non per vantarsi ma perchè per lui fare quel breve tragitto è una sofferenza. La poliomelite che lo colpì da bambino lo costringe a camminare con rinforzi alle gambe e a sorreggersi con le stampelle.
Nessuno fiata in platea. Tutti restano in attesa.
È un famoso violinista. L'attesa non è un peso per i presenti.
Arriva a centro palco. Si siede. Poggia le stampelle e toglie i rinforzi alle gambe.
Recupera il violino. Lo poggia tra spalla e mento. Suona.
Un rito ormai noto agli appassionati di musica.
Eppure la vita non sempre va allo stesso modo.
Non sempre la scena si ripete come un copine infallibile.
Accade proprio anche a Itzhak.
Qualcosa non funzionò. Una corda si ruppe. Un rumore chiaro e secco.
Per tutti la cosa più sensata da fare era poggiare il violino inutilizzabile e prenderne un altro.
Invece no. Itzhak chiuse gli occhi. 
Secondi che parevano eterni per chi era presente.
Fece cenno al direttore d'orchestra di riprendere la musica da dove si era interrotta.
Riprese a suonare. Suonò un violino con sole tre corde.
Suonò con intensità, passione e potenza tale che nessun rumore si levò dalla sala. Nessun fiato.
Per chi s'intende di musica, sa che tentare di suonare una sinfonia con sole tre corde è impossibile.
Si lo sa. Lo sappiamo. Lo sapeva anche Itzhak.
Ma Itzhak sapeva anche che non voleva saperla questa nozione basilare. Si oppose che fosse così.
E suonò in modo tale da far uscire dalle tre corde suoni e melodie nuove. Affascinati. Incantevoli. Potenti.
Finita la performance nessuno osava fiatare in platea.
Fino a che uno ad uno si alzarono in piedi rapiti, applaudendo con mani e cuore.
Itzhak si terse il sudore dalla fronte. Sorrideva. Per calmare la platea fece un cenno con l'archetto e disse una sola cosa:
"Sapete, talvolta è compito dell'artista scoprire quanta musica può ancora creare con ciò che gli è rimasto".

Ky



martedì 3 luglio 2018

Paure, cambiamenti, scopo e dintorni




Ci sono diversi tipi di libertà e ci sono parecchi equivoci in proposito.
Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero.
- Jim Morrison -

Quando scrivi sei tu che decidi quello che succede. Il cosa, il come, il perchè, il quando, il chi, il dove.

Eppure non è mai facile iniziare a scrivere. Almeno non per me. È vero anche che scrivo da tanto tempo che non saprei nemmeno dire da quanto. Eppure fino a circa 9 mesi fa scrivevo solo per me o per qualcun altro, una sorta di "ghostqualcosa".

Fa paura scrivere. Fa paura scrivere e mettere in piazza le proprie parole, le proprie idee, i propri pensieri. I perchè sono i soliti di sempre: paura del giudizio, paura di dire cose banali e stupide, paura di scrivere male, paura di non venire calcolati nemmeno di striscio, paura di...

Scrivere è come viaggiare. Il viaggio comporta inevitabilmente un cambiare, un modificare rotte e percorsi, un continuo modificare ed adattare se stessi all'incerto, al non conosciuto. Ed il viaggio si può affrontare in due modi. Guardando direzione specchietto retrovisore per vedere da dove si arriva perdendosi però il meglio. Oppure godendo e meravigliandosi della strada davanti per lanciarsi così verso nuove esperienze e dare uno spessore diverso al futuro. Ecco scrivere è un pò la stessa cosa e - come ogni cosa - comporta un cambiamento. Cambiare fa paura. Deve far paura. È un bene. Una grande occasione da non sprecare.


Per imparare
una lezione
nella vita
bisogna superare
una paura.
- W. Emerson -


Sosteneva questo il filosofo americano Waldo Emerson. Sapeva che ci sono svariati modi di superare le paure e ciascuno è chiamato a trovare il suo modo. Per lui si riassumeva nel pensare poco alle cose e nel cominciare a fare.

Forse è capitato anche a me così. Una sorta di urgenza di dirmi e dire. Credendo e sperando di essere utile ad altri ma anche a me. Così ho iniziato a scrivere un blog. Di quelli semplici, nulla di troppo complicato gestionalmente e tecnologicamente parlando. Eppure, ancora una volta, si ripresenta alla porta la paura, e fa paura. Ho scritto il mio primo post e non riuscivo a cliccare sul tasto "PUBBLICA" in alto a destra. È rimasto in standby per molti mesi. Avevo troppo timore, troppi se, troppi ma che vincevano su tutte le prove e le tesi che tentavo, invano, di portare a mio favore. Un'arringa persa ancora prima di cominciarla. Prospettiva poco allettante e totale sfiducia.

E poi, non so come, non so bene perchè, ho cliccato su quel pulsante ed ha funzionato. Ero online. Ero nel mare sconfinato di internet. E dovevo tentare di non affondare, di non perdermi. Ma non volevo nemmeno diventare dipendente da like, visualizzazioni e robe del genere. Dovevo (e voglio) fare parte del processo di cambiamento che "la crisi" ha portato inevitabilmete a galla. E da qui non si scappa. Lasciare o prendere. Stare fermi o lanciarsi nel vuoto. Non scrivere o scrivere. Ho scelto la seconda opzione.

In realtà il perchè lo conoscevo. Dovevo solo decidermi a far uscire allo scoperto il come. Ed il come è stato ed è attraverso la scrittura.
Questo solo per dire che non è di certo facile, ma è sicuramente possibile cambiare. Che cambiare fa rima con fare. Che tra dire e fare non c'è di mezzo nessun mare, c'è di mezzo più che altro lo scopo.

Se c'è lo scopo tutto è più chiaro. No, non più facile. Solo un pò più chiaro. Forse con pezzi di strada che si vedono un pò meglio di prima e su cui si sceglie di posare le scarpe per macinare chilometri. Che poi lo scopo c'è. Tutti ne hanno uno. Solo che a volte si fatica a trovarlo, si diverte a giocare a nascondino o noi ci divertiamo a giocare a nascondino con lui. E torna la paura. I dubbi ed i timori. L'ansia da prestazione e da web.

Ma provare paura non significa essere codardi o falliti. Significa essere consapevoli che è tempo di tirar su le maniche della camicia e darsi da fare. Acchiappare lo scopo e renderci così conto che nella vita spesso è meglio stare S-comodi piuttosto che comodi. Così si hanno più possibilià di vedere e toccare nuove porte che si aprono, di guardare vecchie paure che si tengono più a bada, di entrare in relazione con altri tizi come noi e di accorgerci che in fondo non siamo soli, non siamo gli unici che.
Di svegliarsi ogni mattina ed essere felici. Non più sicuri o più ricchi.
Più felici, almeno un pò.


Quando hai paura di qualcosa
prendi bene le misure
e ti accorgerai che è poca cosa.
- Luciano De Crescenzo -


E le misure si prendono solo se ci si dà da fare. Se ci si mette in gioco. Se si decide che il proprio scopo è più importante di qualunque paura, di ogni ostacolo, di qualsiasi problema. Quando il proprio scopo ci fa svegliare ogni mattina non più sicuri o più ricchi.

Solo un pò più felici. 
Allora ne vale la pena "essere ciò che si è davvero".


Ky

lunedì 25 giugno 2018

Password: accontentarsi (di essere persone buone)




Quante volte capita di fermarmi e di chiedermi chi sono.
Se guardo i vari social ogni giorno vedo gente che è qualcuno, che ce l'ha fatta, che almeno così dallo schermo pare felice.
Se esco dalla porta di casa incontro ancora chi sembra essere felice, chi sembra sapere chi è.
E così guardo me, la mia vita, i viaggi compiuti fin qui, le persone incontrate, le esperienze vissute. 
Ho molte più domande per la testa che risposte.
Molti più pensieri incerti che certezze.
Molte più paure che sicurezze.
Eppure sono qui, comunque serena, comunque quasi certa che va bene così.
Va bene quello che sono, quello che ho la fortuna di avere, almeno oggi.
Domani è un altro giorno e si vedrà.
E ripenso alle parole di Alex Zanardi, o meglio quelle che un giorno il figlio gli rivolse:
"Eh, tanto io non sarò mai famoso come te".
E giustamente Zanardi padre si interroga sul "come spieghi ad un ragazzino, in modo convincente, che non è importante? Che conta soprattutto provare ad essere una brava persona?".
Già. Come si spiegano queste cose?

Ricordo che in uno dei miei viaggi tailandesi lessi un racconto che oggi torna utile e che ritengo buona cosa condividere.

C'era una volta un bellissimo giardino, con alberi e fiori di ogni tipo, meli, aranci e rose. Tutti felici e soddisfatti. C'era solo felicità in quel giardino, tranne che per un albero che era molto triste. Il povero albero aveva un problema: non sapeva chi fosse!
"Ti manca la concentrazione" gli disse il melo "se davvero ti impegni, puoi fare mele deliziose. Guarda com'è facile".
"Non ascoltarlo" intervenne il cespuglio di rose "e guarda quanto siamo belle noi!".
L'albero disperato provò a seguire ogni consiglio. Cercò di produrre mele e far sbocciare rose ma, non riuscendo, a ogni tentativo si sentiva sempre più frustrato.

Un giorno un gufo arrivò nel giardino.
Era il più saggio di tutti gli uccelli e vedendo la disperazione dell'albero esclamò "Non ti preoccupare. Il tuo problema non è così serio. È lo stesso di tanti esseri umani! Ti darò io la soluzione : non passare la tua vita ad essere ciò che gli altri vogliono tu sia. Sii te stesso. Conosci te stesso e per far ciò ascolta la tua voce interiore". Poi il gufo se ne andò.

"La mia voce interiore? Essere me stesso? Conoscere me stesso?" l'albero disperato pensava tra sè e sè alle parole del gufo quando all'improvviso comprese. Si tappò le orecchie e aprì il suo cuore e sentì la sua voce interiore che gli stava dicendo "non darai mai mele perchè non sei un melo e non darai mai fiori ogni primavera perchè non sei un cespuglio di rose. Tu sei una sequoia e il tuo destino è crescere alto e maestoso. Sei qui per offrire riparo agli uccelli, ombra ai viaggiatori, bellezza al paesaggio! Tu hai questa missione. Seguila!".

A queste parole l'albero si sentì forte e sicuro di sè e cessò ogni tentativo di diventare qualcun altro ed esattamente quello che gli altri si aspettavano da tutti. Solo da quel momento il giardino divenne completamente felice.

Albert Einstein diceva che "tutti sono geni. Ma se giudichi un pesce in base alla sua capacità di arrampicarsi su un albero, lui vivrà tutta la sua vita pensando di essere stupido".

Provare ad essere chi si è. Senza giri di parole. Senza sprechi inutili di energia in ciò che non ci appartiene. Senza dover essere la brutta copia di altri, spesso dei propri genitori che magari ricoprono ruoli lavorativi importanti e di prestigio.
Essere se stessi al proprio meglio. 
Essere brave persone. Persone buone.
Una sfida come tante nella vita.
Forse questa è la sfida più avvincete ed appasionante in cui possiamo imbarcarci.
Fa paura. Fa tremare le gambe.
Fa andare in tilt pensieri e credenze. Fa andare contro corrente.
Fa sentire anche soli a volte, messi in un angolo con la testa tra le mani.
Ma fa crescere. Fa diventare sè stessi, la miglior versione possibile, l'unica versione su 7 miliardi di individui. Mica male direi!
Forse ne vale la pena. Credo ne valga davvero la pena.
Accontentarsi di essere una sequoia invece che un cespuglio di rose o un albero di melo.
Non è una brutta parola "accontentarsi" .
È una parola buona se presa nella prospettiva di accettare chi siamo, di mostrarlo agli altri e di provare giorno dopo giorno a migliorarsi accontentandosi di essere semplicemente sè stessi.

Ky






mercoledì 20 giugno 2018

Tutto in uno zaino




Lo zaino è posato nell'angolo, quello di sempre. È fermo lì da metà Marzo. Sta prendendo polvere. Dovrei coprirlo probabilmente. Eppure non mi viene da compiere questo gesto. Forse perchè preferisco darci uno sguardo ogni volta che mi capita di passarci accanto. Forse perchè è una specie di mappa di ricordi, emozioni, incontri, esperienze che ho avuto la fortuna di compiere soprattutto negli ultimi sei anni. E lo zaino da sempre è simbolo del mettersi in viaggio. Che sia per un pic nic fuori porta. Che sia per scalare l'Everest. Che sia per recarsi a scuola. Che sia per partire alla ricerca di significati altri, culture diverse. Che sia per qualunque motivo, lo zaino è una sorta di casa mobile in cui si rinchiudono i propri effetti personali ed in cui spesso si tenta di rinchiudere anche un pò di affetti, che sembrano indispensabili ancore di salvataggio lungo i percorsi così incerti ed imprevedibili del viaggiare. Si parte per l'incerto mettendo sulle spalle un pò di quelle certezze che si crede di possedere. In verità poi strada facendo tutto sfuma, tutto muta, tutto si trasforma. Anche tu cambi. È inevitabile. Conseguenza naturale di chi decide di mettersi in viaggio. I motivi sono i più disparati, ciascuno ha il proprio. La sola certezza è che si viaggia partendo sempre dal sè per poi, si spera, arrivare a quel noi che amplifica i significati del viaggiare.
Ogni volta che si avvicinava il tempo della partenza iniziava la lista delle cose da portare e quella delle cose da lasciare a casa. Confesso che la lista delle cose che ritenevo indispensabili avere con me, era sempre esageratamente lunga. E così ogni giorno mi capitava di aggiungere qualcosa a tutto quello che già era pronto sopra il letto per essere poi infilato nello zaino.
Il primo anno del mio viaggio verso Oriente ho riempito e disfatto lo zaino una infinità di volte. Metti e togli. Togli e metti. Metti e togli. Toglie e metti.
E così perdevo ore di tempo preziose per altri e per altro.
La fortuna è che gli zaini hanno una capienza limitata, oltre la quale non si può proprio andare. E così lungo questi sei anni ho imparato a portare solo il necessario lasciando a casa i vari ed inutili "just in case".
Lo zaino comunque è stato sempre fedele amico, necessario ed indispensabile in molte occasioni. Un amico inanimato certo, ma che ha concesso a me e Nadia di trasportare dall'Italia alla Thailandia parecchi capi di vestiario per i bambini birmani. Grazie allo zaino siamo riuscite a trasportare in scooter centinaia di quaderni e libri di testo per la scuola che sostenevamo. Medicinali e kit di primo soccorso per la gente di un villaggio al confine thai-birmano. Lo zaino mi ha sempre accompagnato anche in quei viaggi non proprio così legali in cui si doveva attraversare il fiume di confine con una barchetta e con la scorta militare per raggiungere la sponda birmana. Viaggi sempre spinti dalla volontà di compiere azioni buone, di portare aiuti concreti. Ed ancora lo zaino mi e ci ha accompagnato in quei viaggi "into the wild" che ogni tanto si riusciva a fare. Zaino che diveniva valigia viaggiante ed anche "appendiabiti" con tanto di mollette per consentire a reggiseni, slip, asciugamani e t-shirt di asciugare. Zaino che mi ha sempre consentito di fare incontri di ogni sorta.
Comunque sia, l'ultima volta che ho fatto lo zaino per la Thailandia ho infilato più libri che vestiti.
Ma questo si impara solo facendone esperienza. Solo mettendosi in viaggio.
E come scriveva Sebastiano Zanolli nel lontano 2012:
"Viaggiare implica novità, novità implica incertezza, incertezza implica rischio, rischio implica pericolo. Pericolo anche di fare i conti con se stessi e le proprie debolezze e l'incapacità di lasciare andare il di più, il conosciuto comodo anche se inutile.
Il viaggio ti chiede di accettare tutto ciò e tutta la gente che incontrerai, di abbandonare molto di ciò che credi di essere, e molti che credevi indispensabili. Altrimenti non servirà andarsene.(...).
Ecco perchè chi viaggia diventa resiliente.
Chi viaggia è capace di vedere l'infinitamente grande in ogni piccolo passo.
Per poi ritornare a casa.
Per poi ripartire".
Non penso di avere smesso di viaggiare. Magari per un pò non metterò lo zaino in spalla, non dovrò fare varie liste pre-partenza, eppure mi sento anche adesso in viaggio, perchè una volta che inizi a viaggiare come una volta che impari a sognare – come cantano i Negrita - poi non smetti più.

Ky



martedì 12 giugno 2018

Che ci sto a fare? A volte un sasso ce lo può insegnare




Che ci sto a fare?
Che ci sto a fare nei vari profili social? Che ci sto a fare in quel tal posto di lavoro? Che ci sto a fare in situazioni più o meno scomode? Che ci sto a fare insieme a quel tizio/a? Che ci sto a fare con il blog? Che ci sto a fare con lo scrivere? Che ci sto a fare dentro questo progetto?
Una valanga di "che ci sto a fare?" a cui cercare risposte, soluzioni, alternative, vie di fuga o significati vari.
Ieri mi è arrivato un messaggio inatteso. Una persona conosciuta nei vari social, un pò di tempo fa, mi chiede se gli faccio avere il mio indirizzo di casa così che possa inviarmi un libro scritto di suo pugno. Una bellissima sorpresa, soprattutto per chi come me ama i libri, adora leggere.
Che poi mi ritrovo molto spesso a farmi la domanda "che ci sto a fare?", domanda che mi aiuta a capire il senso di quello che vivo, delle situazioni in cui mi ritrovo per scelta o meno, del lavoro che svolgo, dello scrivere, del relazionarmi con.
E ricordo un racconto che vede come protagonisti un uccellino ed un sasso.

C’era una volta, in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.
Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.
Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso: “Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”
Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”.
L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra: “Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi. Ti sarò sempre debitore”.
Ma il sasso rispose: “Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare”.


Capita a tanti di non sapere che ci stiamo a fare o cosa stiamo combinando in varie situazioni di vita. Forse siamo un pò come il sasso del racconto. Un sasso che non sa bene quale sia il significato del suo essere in quel determinato posto e che lo scopre solo grazie ad un uccellino vagabondo, infreddolito e gentile.
A volte sappiamo chi siamo, cosa stiamo facendo, perchè e come stiamo facendo quella tal cosa. Altre volte invece proprio non ci capiamo più nulla, restiamo lì senza risposte valide e convincenti perchè magari qualcuno non ci ha capiti o ci ha criticati o qualsiasi altra cosa. E poi succede che arriva qualcuno, un amico, la tua compagna, i tuoi figli, persone sconosciute che si avviccinano, ti chiedono di potersi appoggiare per pochi istanti accanto a te e attraverso atti di gentilezza e bontà ti aiutano a comprende il significato del proprio personale "cosa ci sto a fare?".
E questo essere presenti, vicini, questa voglia di condividere e di incontrarsi fa tutta la differenza del mondo. Proprio come un sassolino.

Ky







sabato 9 giugno 2018

Adattati, se vuoi ripartire.




A lavoro ieri sera. Nessun "sparecchia la tavola, apparecchia la tavola".
Più che altro a lavoro per lavare i piatti. 
Non i miei. Quelli degli altri.
Che poi poco importa se sono miei o degli altri. Il dato di fatto è che sono sporchi e vanno lavati, tirati a lucido, lasciati asciugare e rimessi lì in pila uno sopra l'altro per il prossimo turno, per la prossima ripartenza.
E mentre toglievo via i residui di sporco più o meno impegnativi, pensavo a come è necessario sapersi adattare in base a quello che scegliamo di vivere, alle esperienze che decidiamo di approfondire.

"Vivere e stare al mondo necessita di progressivi adattamenti,
incompleti, parziali, temporanei"
- Paolo Ragusa -

Adattarsi. Non adeguarsi (che ha il sapore della lamentela, della chiusura, del rifiuto al cambiamento). Adattarsi come fanno le radici degli alberi, che cercano la via migliore nel terreno ma il terreno non è sempre soffice, morbido ed accogliente; quasi sempre ci sono sassi, ostacoli e fatica. 
Eppure c'è sempre una via. Sempre.
Perchè la capacità di adattarsi "nel vivere, nelle relazioni, nella ricerca della felicità" ha come significato la capacità e la presa di coscienza di fare posto anche al limite, agli insuccessi, all'infelicità, alla fatica.
Una tensione continua verso il meglio passando per il difficile, l'incerto, il non soddisfacente.
La sola via per avanzare verso tutti i nostri piccoli e grandi progetti di vita.
Una costante e progressiva costruzione di sogni, desideri, progetti ma anche di accettazione di paure, dolori, solitudini, cicatrici che aiutano a crescere.

Adattarsi significa anche avere la capacità di modificare la rotta del proprio viaggiare, interiore ed esteriore. Avere la capacità di "stare nello scarto che abbiamo scoperto e utilizzarlo come ripartenza", come nuova possibilità creativa.
Come trovarsi tra le mani un piatto bianco, tirato a lucido e pulito che aspetta di nuovo di essere riempito, non solo di belle pietanze da vedere, anche di buon cibo da assaporare.

Ky



lunedì 4 giugno 2018

Strade e fossati.




Credo di aver percorso strade di ogni genere e con diversi mezzi in questi 40 anni.
Strade sterrate. Di montagna. Vie ferrate.
Strade travestite da campi di basket.
Strade larghe, così larghe da non vederne il capo opposto.
Strade strette, talmente strette che a mala pena ci passava il mio corpo.
Strade d'asfalto sotto il sole cocente d'Oriente.
Di terra e fango e con buche profonde da schivare.
D'erba e foglie secche piacevoli da calpestare e far suonare.
Leggevo non so più dove, non so più quanto tempo fa che "tutte le strade portano ad una scuola".
Ed in effetti da sempre si dice che la strada è maestra di vita. Una maestra severa e dura molto spesso, altre più piacevole ed amorevole.
La strada però troppo spesso viene interpretata in modo negativo con espressioni che la rendono un posto da poco di buono: gergo da strada, ragazzi di strada, donne da strada, vita da strada...
come se lì fuori, fuori dalle nostre strade reali o interiori, ci fosse un mondo parallelo che respira e tenta di vivere alla meno peggio.
Eppure tutti prima o poi ci troviamo in mezzo ad una strada.
E forse oggi la crisi è un ottimo specchio di questo.
Letteralmente parlando per alcuni, metaforicamente parlando per altri.

Strada come ultima spiaggia oppure opportunità di incontri, di situazioni che possono succedere, che si possono far accadere.
Strada da percorre, su cui riposare a volte, su cui posare fardelli e lasciare zavorre, su cui poggiare passi e ricerca di significati, su cui cercare fortuna o senso.
Strada. Strade. Di ogni tipo, di ogni dimensione e lunghezza. Strade appena asfaltate e rimesse a nuovo. Altre colme di impefezioni che hanno inciso sul percorso.
Strade su cui far perdere le proprie tracce magari per rigenerarsi o per ritrovarsi.
Strade da cui uscire perchè è tempo di imboccarne altre o di tracciarne nuove.
Partendo da zero.

Strade che sembrano un pò come i fossati, quelli che un tempo proteggevano castelli e ville antiche, quelli che oggi si ritrovano ai lati delle strade, lungo i campi coltivati, lì pronti a donare acqua per irrigare terra e sementi. Fossati che vanno lasciati così come sono. Così con la loro naturale predisposizione a ricevere e donare acqua. Acqua che deve scorrere per far in modo che tutto il fango, la sporcizia che la rende torbida, fluisca il più a sud possibile, lasciando così intravedere quei desideri e quelle speranze che ogni uomo necessita di portare a galla, di mostrare ad altri, a sè stessi.

Strade e fossati. Fossati e strade.
E così solo viaggiando, solo mettendosi per strada si possono incontrare altri come noi.
In cerca di senso.
In cerca di opportunità.
In cerca di altri con cui costruire strade. Insieme.

Così il significato della vita diventa più grande. Sicuramente difficile. Certamente condiviso.
Eppure ne vale la pena. Vale sempre la pena incontrarsi e soffermasi almeno per un pò con i tanti altri che credono nella strada come opportunità e ricerca "delle cose come stanno: quelle cose che consentono ad altre cose di essere più umane, più vere e di avere un senso" (Giuseppe Vico).

Ky



mercoledì 30 maggio 2018

"Anche questo passerà". La leggenda dell'anello del re



Si dice che una volta un re convocò i più saggi del reame e chiese loro: “Esiste un mantra oppure un suggerimento che funzioni in ogni situazione, in ogni circostanza, in ogni luogo e in qualsiasi momento? Qualcosa che mi possa aiutare quando nessuno di voi mi sta accanto per darmi dei consigli? Ditemi, esiste un tale mantra?”
Tutti i saggi erano sorpresi dalla domanda del Re. Una risposta per tutte le domande? Qualcosa che possa funzionare ovunque, in ogni situazione, ovvero in ogni gioia, ogni pena, ogni sconfitta e ogni vittoria? Pensarono e ripensarono.
Dopo una lunga discussione, un anziano suggerì qualcosa che andò bene a tutti. Poi andarono dal re e gli portarono il risultato scritto su carta, con la condizione che il Re non lo doveva guardare per sola curiosità. Solo in momenti di estremo pericolo, quando il Re era da solo e senza vie d’uscita, allora lo avrebbe potuto leggere.
Il Re mise il foglio sotto il suo anello di diamante. Passò del tempo e i vicini attaccarono il Regno. Fu un attacco di sorpresa. Il Re e il suo esercito combatterono coraggiosamente ma persero la battaglia. Il Re dovette scappare a cavallo e inoltrarsi nella giungla.
Ma all’improvviso il Re si trovò alla fine di una strada chiusa. Sotto c’era un dirupo, buttarsi significava morire.I nemici che lo stavano inseguendo si stavano avvicinando e il Re era preoccupato, non sembrava avere via d’uscita.Poi all’improvviso vide il diamante che brillava sotto il sole e si ricordò del messaggio nascosto nell’anello. Aprì il diamante e lesse il messaggio che diceva:“Anche questo passerà.”
Il Re lo lesse e poi lo lesse ancora. All’improvviso qualcosa si mosse: Sì! Anche questo passerà! Solo pochi giorni fa, godevo del mio regno, ero il Re più potente fra tutti. E ora il Regno con tutti i suoi piaceri è sparito. Io sto qua che cerco di scappare dai nemici. E così come quei giorni sono passati, anche questo giorno di pericolo passerà.
La calma tornò sulla sua faccia. Continuò a stare dove era. Il posto era pieno di bellezza naturale. Non aveva mai visto questo luogo così bello nel suo Regno. La rivelazione del messaggio gli aveva fatto un grande effetto. Si rilassò e dimenticò i nemici.
Dopo qualche istante realizzò che il rumore dei cavalli si era allontanato. Si erano spostati da un’altra parte, verso le montagne vicine.Il Re era molto coraggioso. Riorganizzò il suo esercito e combatté di nuovo. Sconfisse il nemico e riprese il suo impero.
Dopo la vittoria, venne ricevuto con grande splendore. L’intera capitale era nell’euforia della vittoria; piogge di fiori venivano lanciati sul re in segno di onore e riconoscimento. La gente cantava e ballava. Per un istante il Re si disse: “Sono uno dei Re più grandi e coraggiosi. Non è facile sconfiggermi”.
Vide un senso di ego emergere in se stesso. All’improvviso il diamante dell’anello brillò nella luce del sole e così ricordò il messaggio. Lo aprì e lo lesse di nuovo: “Anche questo passerà” . Diventò silenzioso. Il suo volto cambiò totalmente – da egoista tornò in uno stato di profonda umiltà.Se anche questo passerà, allora non è tuo. La sconfitta non era tua, la vittoria non è tua. Sei semplicemente uno spettatore. Tutto passa. Siamo testimoni di tutto questo. La vita viene e va. La felicità viene e va. La sofferenza viene e va.
Quante volte ci sentiamo dire e diciamo a nostra volta "è solo un momento, passerà". Lo si dice talmente spesso che non ci si fa quasi mai caso. Lo si dice a chi deve affrontare prove ed esami. A chi si trova in un profondo momento di sconforto per questioni di cuore, per difficoltà lavorative, a chi vive sofferenze fisiche e psicologiche e per mille altre motivazioni. Eppure a ben pensarci è proprio vero che è tutta questione di "è solo un momento, passerà". Certo non si può prevedere il quando e forse nemmeno il come ma si può decidere l'atteggiamento con il quale affrontare ogni momento della vita. Che poi questa espressione verbale non è valida solo per chi vive situazioni negative. Vale anche come rovescio della medaglia, vale anche per chi vive situazioni positive nel lavoro, in amore, a livello scolastico, nella quotidianità. Già perchè dovremmo sempre tenere a mente che ogni istante "è solo un momento, passerà". Allora è nostro dovere vivere con il giusto atteggiamento. Ciascuno a suo modo, ciascuno con le proprie capacità. Comprendo, io per prima, che è molto più semplice dirlo che sentirselo dire ma sono anche convinta che eppure è possibile. È decisamente possibile affrontare la vita tenendo a mente di avere sotto l'anello quel foglietto che dà risposta ad ogni quesito, quel foglietto che ci fa sentire meno vulnerabili, forse un pò più coraggiosi. Un foglietto che ci mostra il possibile. Che ci fa vedere che è molto più possibile che probabile.
Ky








"Che cosa vuole il mondo da noi?" (Keep calm, goditi il viaggio e passa il favore)

Curioso. Decisamente curioso come un pensiero possa improvvisamente materializzarsi. È successo circa 3 mesi fa, dopo il mio rientr...