martedì 10 luglio 2018

Non dire al mondo di essere una rockstar. Suona caxxo!




Viaggiando sono cresciuta molto. Molto più rispetto alla Chiara che ero s'intende.
Ho scoperto molto del mondo, di me.
Ho scoperto quanto è necessario riuscire a creare qualcosa con quello che ci rimane tra le mani.
Già. Perchè spesso la vita prende direzioni che non avevamo messo in conto.
Già. Perchè la vita si crea di solito partendo da dove si è, con quello che si sa e con quello che si ha a disposizione.
Tutti (o quasi), anche i più famosi e grandi personaggi, sono partiti da qui.
Il punto di partenza spesso è simile. Il modo per arrivare a destinazione cambia.
Resta sempre e comunque la fatica per arrivare lì. Proprio lì dove desideriamo.
Resta il fatto che la vita non è mai facile. Non sempre almeno.
Resta il fatto che la vita spesso assomiglia al violino di Itzhak.

E non conscevo la storia del violinista Itzhak Perlman.
18 Novembre 1995. Esibizione al Lincoln Center di New York.
Entra in scena. Con lentezza attraversa il palcoscenico. Non per vantarsi ma perchè per lui fare quel breve tragitto è una sofferenza. La poliomelite che lo colpì da bambino lo costringe a camminare con rinforzi alle gambe e a sorreggersi con le stampelle.
Nessuno fiata in platea. Tutti restano in attesa.
È un famoso violinista. L'attesa non è un peso per i presenti.
Arriva a centro palco. Si siede. Poggia le stampelle e toglie i rinforzi alle gambe.
Recupera il violino. Lo poggia tra spalla e mento. Suona.
Un rito ormai noto agli appassionati di musica.
Eppure la vita non sempre va allo stesso modo.
Non sempre la scena si ripete come un copine infallibile.
Accade proprio anche a Itzhak.
Qualcosa non funzionò. Una corda si ruppe. Un rumore chiaro e secco.
Per tutti la cosa più sensata da fare era poggiare il violino inutilizzabile e prenderne un altro.
Invece no. Itzhak chiuse gli occhi. 
Secondi che parevano eterni per chi era presente.
Fece cenno al direttore d'orchestra di riprendere la musica da dove si era interrotta.
Riprese a suonare. Suonò un violino con sole tre corde.
Suonò con intensità, passione e potenza tale che nessun rumore si levò dalla sala. Nessun fiato.
Per chi s'intende di musica, sa che tentare di suonare una sinfonia con sole tre corde è impossibile.
Si lo sa. Lo sappiamo. Lo sapeva anche Itzhak.
Ma Itzhak sapeva anche che non voleva saperla questa nozione basilare. Si oppose che fosse così.
E suonò in modo tale da far uscire dalle tre corde suoni e melodie nuove. Affascinati. Incantevoli. Potenti.
Finita la performance nessuno osava fiatare in platea.
Fino a che uno ad uno si alzarono in piedi rapiti, applaudendo con mani e cuore.
Itzhak si terse il sudore dalla fronte. Sorrideva. Per calmare la platea fece un cenno con l'archetto e disse una sola cosa:
"Sapete, talvolta è compito dell'artista scoprire quanta musica può ancora creare con ciò che gli è rimasto".

Ky



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