Tra le varie
forme di comunicazione non verbale, baci, abbracci, strette di mano,
sguardi, mimica facciale, posture del corpo, ce nè una che da sempre
mi caratterizza.
Una pacca
sulla spalla, per me un segno di vicinanza e presenza, non troppo
vicina per non invadere spazi altri, non troppo lontana per non
rendere la distanza un problema.
Una pacca
sulla spalla, o la mano che si posa sulla spalla di un'altra persona.
È un gesto
semplice, a volte forse lo si dà per scontato.
Questo
gesto, per me naturale, è stato il mio segno di riconoscimento in
molte occasioni. Gesto che mi ha avvicinato agli altri, nelle
relazioni, nel lavoro, nella quotidianità, nei miei amori; gesto che
mi ha concesso la gioia di portare sostegno e di riceverlo in egual
misura, da mani diverse, con spalle altre. Un gesto che ha reso la
mia modalità comunicativa e di presenza ricca di significato.
E ricordo
te, quel primo giorno di scuola di moltissimi anni fa.
Nel
frattempo ciascuna ha scelto e seguito i propri percorsi di vita, le
proprie presunte aspirazioni, i propri sogni nel cassetto, e ci siamo
così allontanate, sentite giusto in brevi frangenti, magari legati
alle cene di ritrovo della classe.
E ricordo la
sensazione provata nell'incrociare il tuo sguardo quel primo giorno
di tanti anni fa, i miei
pensieri, le emozioni contrastanti.
Piano piano ti ho vista come lo
specchio di me, simili per affinità, simili nel carattere e questo
mi spaventava. Non è facile vedere la propria immagine, e tutto ciò
che ci sta dentro, riflessa in un'altro volto, soprattutto
nell'adolescenza.
Oggi so che
lo stesso sentire ti apparteneva.
Non so se
siamo mai state amiche "del cuore", forse per brevi
istanti, ma più che altro eravamo inseparabili in quell'ora di
educazione fisica dove si partiva insieme per la corsa di resistenza
ed insieme si arrivava, nè prima tu nè prima io, insieme e la prof
doveva segnare un ex equo sul registro delle valutazioni.
Timida ed
impacciata io, sicura e schietta tu.
Mostravamo
così il nostro essere al mondo fuori di noi, ma dentro eravamo e
siamo simili.
Ti cercavo e
ti evitavo. Mi pareva di non saper gestire lo specchio di me, però
mi incuriosiva vedermi nei riflessi di un'altra persona, ma spesso
sceglievo di evitare, mi pareva la via più facile.
I ricordi di
quel tempo sono tanti, molti sfocati, altri ancora vivi.
Il tuo
prendere le mie difese in quell'interrogazione inattesa e poi quella
prof non ci andava molto a genio; il giorno del mio intervento e tu
che arrivi per consegnarmi le tue stampelle; tutte quelle mattinate
che tu e qualche altra compagna facevate a gara per fare il percorso
con me (io con le stampelle) dalla scuola superiore alla scuola
elementare per svolgere le ore di tirocinio e formazione e così
facendo perdevamo quasi metà della lezione successiva di latino (una
buona scusa).
Era il tuo
modo di volermi bene.
E le
domeniche pomeriggio passate a giocare in quel campo di pallavolo a
metà strada tra casa tua e la casa della mia nonna materna.
Le mie
pacche sulle tue spalle, a volte timidi gesti, altre volte un pò
troppo irruente...
Era il mio
modo di volerti bene, certo goffo, certo poco maturo al tempo ma in
quel gesto per me c'erano racchiuse tutte le emozioni del nostro
legame, un legame diverso da un'amore, un legame diverso da
un'amicizia.
Eravamo tu
il mio specchio, io il tuo specchio.
Ho ancora
tutte le lettere ed i bigliettini che ci scambiavamo durante le
lezioni più noiose, un passa mano da un banco all'altro fino ad
attraversare quasi tutta la classe con la speranza che il/la prof di
turno non si accorgesse di quei lievi frusci. Ogni tanto mi capita di
riprenderli tra le mani e di sorridere nel leggerli. Mi lasciano
addosso una sensazione di bellezza, ingenuità, scoperta, domande
importanti. Quelle emozioni che si vivono intensamente in quell'età
chiamata adolescenza, dove si dovrebbe crescere ma allo stesso tempo
si vorrebbe restare anche un pò bambine.
Ci siamo
perse di vista finita la maturità. Percorsi ed interessi diversi.
Non c'ero il
giorno delle tue nozze (non ho mai amato molto andare ai matrimoni),
non ci sono stata alla nascita dei tuoi figli, non c'ero nelle tue
gioie e nelle tue difficoltà.
Non c'eri
nei miei cambi di rotta, nelle mie scoperte di vita, nelle mie
situazioni complicate, nei miei attimi di bellezza, nei miei giri per
il mondo.
Nessuna
giustificazione per queste "mancanze", semplicemente altre
strade battute.
Internet da
un certo punto in poi ci ha concesso di restare connesse, almeno
virtualmente e di seguire alcuni istanti di vita l'una dell'altra.
Nessun
rancore, nessun risentimento.
Credo il
sentire sia reciproco.
Oggi sono ad
oltre 8000 km di lontananza, in un altro continente, tu in quello che
ben conosciamo.
Sappiamo che
nonostante i non messaggi, nonostante il non vederci, nonostante il
non condividere, quello specchio che tu eri per me, quello specchio
che io ero per te, oggi c'è ancora. Un riflesso che non può cessare
di essere, un riflesso inevitabile.
La
differenza sta in quell'accorgersi da piccoli segnali che qualcosa
non quadra. Un mio messaggio, la tua risposta. Grazie per esserti
fidata e confidata.
So che le
risposte date sono solo un insieme di parole, le solite, ridondanti,
scontate, scomode, so che le conosci già da te tutte le cose che ti
scrivo.
Ma leggi tra
le righe, so che lo sai fare, e ci trovi quella pacca sulla spalla
che vale più di mille messaggi e parole, vale più di un abbraccio,
vale più di un bacio, vale più di uno sguardo, vale di più...
Una pacca
sulla spalla, per me un segno di vicinanza e presenza, non troppo
vicina per non invadere spazi altri, non troppo lontana per non
rendere la distanza un problema.
E grazie di
concedermi quello spazio per poggiare la mia mano sulla tua spalla.
Quella pacca
sulla spalla in grando di fare tutta la differenza del mondo.
Ky