mercoledì 31 gennaio 2018

Quella pacca sulla spalla in grado di fare tutta la differenza del mondo




Tra le varie forme di comunicazione non verbale, baci, abbracci, strette di mano, sguardi, mimica facciale, posture del corpo, ce nè una che da sempre mi caratterizza.
Una pacca sulla spalla, per me un segno di vicinanza e presenza, non troppo vicina per non invadere spazi altri, non troppo lontana per non rendere la distanza un problema.
Una pacca sulla spalla, o la mano che si posa sulla spalla di un'altra persona.
È un gesto semplice, a volte forse lo si dà per scontato.
Questo gesto, per me naturale, è stato il mio segno di riconoscimento in molte occasioni. Gesto che mi ha avvicinato agli altri, nelle relazioni, nel lavoro, nella quotidianità, nei miei amori; gesto che mi ha concesso la gioia di portare sostegno e di riceverlo in egual misura, da mani diverse, con spalle altre. Un gesto che ha reso la mia modalità comunicativa e di presenza ricca di significato.

E ricordo te, quel primo giorno di scuola di moltissimi anni fa.
Nel frattempo ciascuna ha scelto e seguito i propri percorsi di vita, le proprie presunte aspirazioni, i propri sogni nel cassetto, e ci siamo così allontanate, sentite giusto in brevi frangenti, magari legati alle cene di ritrovo della classe.
E ricordo la sensazione provata nell'incrociare il tuo sguardo quel primo giorno di tanti anni fa, i miei pensieri, le emozioni contrastanti. 

Piano piano ti ho vista come lo specchio di me, simili per affinità, simili nel carattere e questo mi spaventava. Non è facile vedere la propria immagine, e tutto ciò che ci sta dentro, riflessa in un'altro volto, soprattutto nell'adolescenza.
Oggi so che lo stesso sentire ti apparteneva.

Non so se siamo mai state amiche "del cuore", forse per brevi istanti, ma più che altro eravamo inseparabili in quell'ora di educazione fisica dove si partiva insieme per la corsa di resistenza ed insieme si arrivava, nè prima tu nè prima io, insieme e la prof doveva segnare un ex equo sul registro delle valutazioni.

Timida ed impacciata io, sicura e schietta tu.
Mostravamo così il nostro essere al mondo fuori di noi, ma dentro eravamo e siamo simili.
Ti cercavo e ti evitavo. Mi pareva di non saper gestire lo specchio di me, però mi incuriosiva vedermi nei riflessi di un'altra persona, ma spesso sceglievo di evitare, mi pareva la via più facile.

I ricordi di quel tempo sono tanti, molti sfocati, altri ancora vivi.
Il tuo prendere le mie difese in quell'interrogazione inattesa e poi quella prof non ci andava molto a genio; il giorno del mio intervento e tu che arrivi per consegnarmi le tue stampelle; tutte quelle mattinate che tu e qualche altra compagna facevate a gara per fare il percorso con me (io con le stampelle) dalla scuola superiore alla scuola elementare per svolgere le ore di tirocinio e formazione e così facendo perdevamo quasi metà della lezione successiva di latino (una buona scusa).
Era il tuo modo di volermi bene.
E le domeniche pomeriggio passate a giocare in quel campo di pallavolo a metà strada tra casa tua e la casa della mia nonna materna.
Le mie pacche sulle tue spalle, a volte timidi gesti, altre volte un pò troppo irruente...
Era il mio modo di volerti bene, certo goffo, certo poco maturo al tempo ma in quel gesto per me c'erano racchiuse tutte le emozioni del nostro legame, un legame diverso da un'amore, un legame diverso da un'amicizia.
Eravamo tu il mio specchio, io il tuo specchio.

Ho ancora tutte le lettere ed i bigliettini che ci scambiavamo durante le lezioni più noiose, un passa mano da un banco all'altro fino ad attraversare quasi tutta la classe con la speranza che il/la prof di turno non si accorgesse di quei lievi frusci. Ogni tanto mi capita di riprenderli tra le mani e di sorridere nel leggerli. Mi lasciano addosso una sensazione di bellezza, ingenuità, scoperta, domande importanti. Quelle emozioni che si vivono intensamente in quell'età chiamata adolescenza, dove si dovrebbe crescere ma allo stesso tempo si vorrebbe restare anche un pò bambine.

Ci siamo perse di vista finita la maturità. Percorsi ed interessi diversi.
Non c'ero il giorno delle tue nozze (non ho mai amato molto andare ai matrimoni), non ci sono stata alla nascita dei tuoi figli, non c'ero nelle tue gioie e nelle tue difficoltà.
Non c'eri nei miei cambi di rotta, nelle mie scoperte di vita, nelle mie situazioni complicate, nei miei attimi di bellezza, nei miei giri per il mondo.
Nessuna giustificazione per queste "mancanze", semplicemente altre strade battute.
Internet da un certo punto in poi ci ha concesso di restare connesse, almeno virtualmente e di seguire alcuni istanti di vita l'una dell'altra.
Nessun rancore, nessun risentimento.
Credo il sentire sia reciproco.

Oggi sono ad oltre 8000 km di lontananza, in un altro continente, tu in quello che ben conosciamo.
Sappiamo che nonostante i non messaggi, nonostante il non vederci, nonostante il non condividere, quello specchio che tu eri per me, quello specchio che io ero per te, oggi c'è ancora. Un riflesso che non può cessare di essere, un riflesso inevitabile.
La differenza sta in quell'accorgersi da piccoli segnali che qualcosa non quadra. Un mio messaggio, la tua risposta. Grazie per esserti fidata e confidata.
So che le risposte date sono solo un insieme di parole, le solite, ridondanti, scontate, scomode, so che le conosci già da te tutte le cose che ti scrivo.
Ma leggi tra le righe, so che lo sai fare, e ci trovi quella pacca sulla spalla che vale più di mille messaggi e parole, vale più di un abbraccio, vale più di un bacio, vale più di uno sguardo, vale di più...

Una pacca sulla spalla, per me un segno di vicinanza e presenza, non troppo vicina per non invadere spazi altri, non troppo lontana per non rendere la distanza un problema.
E grazie di concedermi quello spazio per poggiare la mia mano sulla tua spalla.
Quella pacca sulla spalla in grando di fare tutta la differenza del mondo.

Ky



lunedì 29 gennaio 2018

(RECENSIONE) Pixel in crisi. La crisi più spettacolare di sempre, il miglior momento per unire i puntini.




Ho tra le mani il libro di Davide Cardile

Leggendo il titolo e guardando la prima di copertina si può già avere un primo quadro del messaggio che Davide vuole regalare.
Quello che ho subito pensato e visualizzato leggendo il titolo e guardando la copertina, prima ancora di iniziare la lettura, sono stati quei video giochi con cui si poteva giocare dal pc, per intenderci Pac Man e Mario Bros. Un insieme di quadratini, i famosi pixel, che con l'avanzare della tecnologia sono via via scomparsi alla vista, ma che ci sono ancora, invisibili ma presenti. Pixel che uniti davano vita a questi super eroi virtuali che dovevano affrontare sfide, prove, superare ostacoli per passare al livello successivo, eliminando così i nemici e salvando la principessa rinchiusa nel castello. La variabile, per la riuscita o meno nel salvare la principessa, eravamo noi.
Un pò la nostra storia presente, con la sostanziale differenza che il terreno di gioco non è una tastiera ed uno schermo ma la vita reale.
Il nemico da abbattere, la crisi; uno dei mezzi da usare per la buona riuscita dell'impresa, la tecnologia; la principessa da salvare, la nostra creatività ed unicità.
Grazie alla sua abilità di scrittore ed alla sua curiosità, Davide ha la capacità di farci compiere un tuffo nel passato ripercorrendo alcuni eventi che lo hanno caratterizzato, da stili di vita diversi al mondo del lavoro, da idee innovative a menti così geniali da renderle realtà.
Da qui, da quel passato, arriviamo noi con il nostro presente, l'epoca in cui ci troviamo a vivere che è decisamente molto più ricca in termini economici e di benessere ed opportunità delle epoche che ci hanno preceduto, ma, allo stesso tempo, senza le quali oggi non potremmo vivere tutto quello che stiamo vivendo. Certo una crisi colossale vivendola in prima persona; ma una crisi che può essere vista come un salto da quello che è il ricordo del passato verso la realizzazione presente e futura del proprio scopo di vita, e non c'è miglior momento di adesso per scoprirlo e renderlo reale.
Pixel in crisi, è una sorta di mappa del tesoro, fatta di tanti eventi, alcuni in rilievo altri decisamente messi in un angolo. È solo grazie alla nostra personale capacità e volontà di unire i puntini che possiamo così scoprire che nelle piccole o grandi sfide che quest'epoca ci propone, abbiamo la meravigliosa occasione di rimettere insieme, con pazienza e perseveranza, tutti quei quadratini, tutti quei pixel che ci possono aiutare a rendere concrete le nostre personali aspirazioni, a dare voce alle potenzialità inespresse che ciascuno porta in sè.
Lo disse anche Steve Jobs ai ragazzi dell'università di Stanford: "(...) non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all'indietro. Così, dovete avere fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire".
È questione di credere ai sogni e di far proprio un concreto ottimismo. È l'ennesima occasione che ci viene data per unire i puntini, per dare valore e significato alla nostra umanità. È la più grande occasione di sempre per reinventarsi e per farlo è necessario partire credendo nelle persone.

Grazie Davide per avermi ricordato di unire i puntini!

All'interno del libro ci sono due importanti contributi che meritano una nota d'attenzione.
Il primo è quello di Giovanni Battista Pozza che attraverso la metafora del "signor quando vuoi" e di un luogo chiamato "ovunque", offre illuminanti spunti sulla necessità di cosa significhi essere davvero liberi e sul significato di essere freelance al giorno d'oggi.

Il secondo è la lettera che Sebastiano Zanolli rivolge a Davide. Una lettera che lo stesso Davide ci consiglia di leggere come fosse rivolta a ciascuno di noi. Quella lettera che tutti, prima o poi, vorremmo leggere. Quella lettera che anche se non è facile, ne vale sempre la pena inseguire i propri sogni, oggi più che mai.

Ky

venerdì 26 gennaio 2018

Il male minore: è sempre un bene? è sempre la scelta migliore?




Ieri c'è stato un incidente ferroviario, non il primo, uno tra i molti del passato. 3 morti, 46 feriti di cui 4 o 5 feriti gravemente (in base all'informazione variabile delle diverse testate giornalistiche).
Dalle prime informazione pare che un pezzetto di rotaia di appena 23 centimentri abbia ceduto e causato questo disatro. Certo rispetto a tutti i passeggeri pendolari che si trovavano su quello stesso treno, 350 per la precisione, è stata sfiorata una tragedia ben più grave, in sostanza secondo la logica umana è accaduto il male minore.
Qualche settimana fa mi sono imbattuta nel famoso problema filosofico del carrello ferroviario. Ideato nel 1967 da Philippa Foot, filosofa britannica che al tempo insegnava ad Oxford.

La versione originale è la seguente:
un tram viaggia senza controllo su un binario, e poco più avanti lungo il suo tragitto ci sono cinque persone legate ai binari, impossibilitate a scappare. Prima di arrivare a loro, però, c’è una biforcazione nel tragitto, e nell’altro binario si trova “solo” una persona legata.
Il quesito:
se foste in grado, tirando una leva, di far cambiare tragitto al carrello e quindi di salvare la vita a cinque persone sacrificandone una, lo fareste?
Che bel dilemma, richiama un pò Amleto ed il suo "essere o non essere? questo è il problema"...ma qui, nel quesito filosofico, di mezzo ci sono delle vite umana, o meglio, non vere e proprie vite ma l'idea che ci siano delle persone immaginarie sui binari.
Se si sceglie di uccidere il singolo si compie un'azione volontaria e dunque ci sarebbe una diretta responsabilità nella sua morte, anche se è vero che così facendo si sceglie il male minore; nel secondo caso, si lascerebbe avvenire il disastro senza un diretto coinvolgimento, o perlomeno senza coinvolgimento intenzionale, ma a causa di un brutto e tragico scherzo del destino.
Scontato dire che la maggior parte delle risposte propende sempre per il male minore: il sacrificio di uno per la vita di molti.


Non so se io propenderei per il male minore, credo che propenderei per il bene maggiore. Ed il bene maggiore che intendo è la vita per i 5 e per il singolo. In fin dei conti è "solo" un problema filosofico e dunque nessuno m'impedisce di non dover per forza scegliere se tirare o meno la leva, posso benissimo scegliere di mettere in modalità OFF la corsa del treno e così non sussiste più il problema.

Già, sarebbe una gran bella soluzione, ma la realtà ci mostra che nel corso delle nostre vita capita molto spesso di trovarsi di fronte a scelte simili, due binari, due diverse direzioni ed in base alla nostra scelta decidiamo il corso degli eventi futuri della nostra vita ed inevitabilmente di quella di molte altre persone. E lo stesso fanno gli oltre 7 miliardi di esseri umani che abitano la terra.

Il male minore è sempre un bene? è sempre la scelta migliore?

Non ho la risposta, credo ce ne siano molte, dunque tante infinite variabili sull'esito di eventi prossimi e futuri, quanti sono gli esseri umani.

Curioso come in questi giorni stia leggendo un romanzo in cui si racconta di come sulla terra vengano inviati dal futuro i protettori degli eventi, il cui compito è impedire agli Agis di modificare gli eventi che hanno avuto un impatto molto rilevante nel decidere che piega doveva prendere la storia (torri gemelle, deportazione degli ebrei, uccisione di presidenti, guerre, terrorismo ecc.).*
E' un racconto che pare surreale, ma fa riflettere.

Se invece di compiere le scelte che decidiamo di compiere, decidessimo di prendere l'altro binario, come si modificherebbe il corso futuro di quell'evento e che impatto avrebbe per le altre persone?


Il male minore è sempre un bene? è sempre la scelta migliore?


Ancora una volta non ho la risposta, so per certo che nella vita reale, quella ordinaria, quella che ci vede ogni giorno alzarci per iniziare una nuova giornata, siamo continuamente chiamati a fare scelte.

Ora, tornando al disastro ferroviario di ieri, non c'era scelta tra due binari, non c'era nessuna leva da tirare per modificare la rotta del treno in corsa. C'era "solo" un pezzettino di 23 centimentri che ha ceduto ed ha presumibimente causato il deragliamento con le conseguenze che ben conosciamo.

Riflettendoci, il male minore ha salvato la vita ai più, ma ha modificato per sempre il corso degli eventi di familiari ed amici delle 3 persone morte e quasi sicuramente modificherà la psicologia delle persone ferite e di chi era presente su quel treno pur rimanendo illeso.


Viviamo in un tempo in cui la tecnologia è sempre più d'avanguardia, in cui si progettano robot simili agli umani, in cui si sperimentano cose inimmaginabili fino a qualche anno fa. Siamo le menti più evolute ed intelligenti del pianeta Terra e non sappiamo mettere in sicurezza e trovare la soluzione per rinnovare tecnologie obsolte ed antiquate che però hanno cambiato il corso della storia (la modalità di movimento e spostamento da un luogo A ad un luogo B, come ferrovie, strade, voli aerei ecc.)?


Mah, sono perplessa, perchè se questa è l'evoluzione e la rivoluzione tecnologica che vogliamo davvero, dovremmo sempre vivere accontendoci della legge del male minore e non dello stile di vita del bene maggiore che spetta a tutti noi, nessuno escluso.


E questo chi lo spiega a chi ha perso affetti e cari in un evento che poteva avere un corso decisamente diverso?


Buona riflessione a tutti noi.


Ky


*I revisionisti, Thomas Mullen, edizione ilSaggiatore, Milano 2012

*immagine presa dal web







lunedì 22 gennaio 2018

I gatti, spiriti guida della mia vita





Budy, Thailandia


Il mio viaggio verso Oriente, ha coinciso con varie novità, scoperte e cambiamenti che hanno profondamente inciso sulla nuova rotta che sto percorrendo.
Una rotta che ha sempre più la direzione della scoperta di sè, di quella parte di me che non guarda verso il fuori ma verso il dentro e sul contributo e servizio che desidero portare al Mondo.
Non è stato l'incontro con una nuova cultura, con nuovi pensieri e diverse filosofie e stili di vita, e non è stata nemmeno la magia che ogni viaggio porta con sè a mettermi sulla strada "alla ricerca della vera me", o meglio, solo in piccola parte.
Il grande merito di questa nuova rotta lo devo all'incontro con un gatto.
Non un gatto qualunque ed anonimo, ma il gatto che per 4 anni mi ha fatto, inconsapevolmente, da guida qui in Thailandia.
Il micio in questione è una lei, e non poteva essere diversamente.
Budy, lei si chiama Budy.
Un nome dato un pò così ad istinto, a pelle direi.
Budy non è mia, e mai lo sarà.
Budy è uno spirito libero ed indipendente che per 4 anni ha scelto di trascorerre del tempo assieme a me e Nadia, dividendosi tra la sua casa ed i suoi "proprietari birmani" e la casa dove alloggio che confina con la sua. Anche se dal secondo anno in cui ci siamo conosciute ha iniziato a trascorrere la maggior parte del tempo con noi, nonostante fossimo spesso fuori per seguire i progetti umanitari e nonostante avesse già una sua casa.
Non ho mai saputo l'età di Budy, nè il suo passato, nè se sia stata scelta dai suoi proprietari o se lei abbia scelto loro. (Tra le varie cose belle dell'Oriente è che spesso gatti e cani si scelgono case ed umani con cui passare le loro vite).
Oggi non so dove sia, probabilmente in Birmania con i suoi proprietari, o almeno così mi piace pensare.
Quello che so per certo è che ad un certo punto lei ha scelto anche me e Nadia, e tra noi è stato subito amore, come se ci fosse un legame già da tempo, un legame che arriva da molto lontano.
Un amore che con il passare dei giorni è divenuto sempre più forte tanto da farmi ricevere il titolo di sua "schiavetta" personale e guai a fare carezze ad altri amici felini e canini che passavano di qua.
Già, Budy è riuscita a fare questo ed io le ho concesso di farlo, a dire il vero non avevo vie di fuga.
È stato difficile arrivare a Novembre 2017 qui in Thailandia e non trovarla, ma per qualche strano gioco del destino è arrivata un'altra gattina, decisamente selvatica e senza casa, mamma di 3 cuccioli, e che oggi ha scelto di abitare qui con noi.
Shadow, questo è il nome che le abbiamo dato.
Non è come Budy, è molto più diffidente e non vuole farsi accarezzare ma ha fatto passi da gigante nel trovare un nuovo equilibrio e pare stare decisamente meglio rispetto al primo giorno che l'abbiamo incontrata.
Quello che mi ha donato Budy è stata un'eperienza così profonda ed intensa ed indescrivibile che dopo il primo anno che l'abbiamo incontrata, Nadia ed io al rientro in Italia, abbiamo adottato due mici: Merlio ed Arringa. (Tranquilli, nel tempo in cui siamo in Oriente loro sono spaparanzati e super coccolati da zio Enrico).
Non so pensare ora alla mia esistenza senza i gatti, anche se ne sono allergica, eppure dopo qualche starnuto inziale come per magia tutto sparisce.

Questi mici, Budy in particolare, mi hanno insegnato moltissimo. Parte del mio cambio di rotta è dovuto a lei, a loro.
Non è solo la loro sfacciata indipendenza, il loro dormire quasi 22 ore su 24, la loro richiesta spossante di coccole ed attenzione solo quando vogliono, le loro posizioni yoga e meditative...c'è molto di più quando si sta a contatto con un micio.
I gatti insegnano a vedere il positivo, a godersi l'istante senza stare troppo a rimuginare se qualcosa di spiacevole è accaduto, vivono alla giornata, meglio, l'istante presente, la sola certezza che in fondo abbiamo nella vita. Insomma sanno gestire molto bene il sistema piacere/dolore.
Eppure i gatti sono guide e maestri di vita per chi vuole vedere.
Budy mi ha insegnato la teoria delle 3F: Fly – Fight – Freez (vola, combatti, congelati).
Fly: inteso come vola o meglio scappa, condizione necessaria nei momenti in cui si è davvero in pericolo (ed i gatti spesso si trovano in situazioni simili). La scelta migliore è scappare, non come segno di sconfitta, ma come capacità di capire che certe situazioni sono così a rischio che la sola alternativa possibile è la fuga, una fuga che ha il significato di portare la pelle in salvo.
Fight: significa combatti; i gatti combattono molto spesso, solitamente nel periodo degli amori e poi per questioni di difesa del proprio territorio, dei propri spazi. Non combattono mai per il puro piacere di farlo, come spesso facciamo noi umani.
Freez: letteralmente vuol dire "congelati", cioè la capacità di capire quando è meglio stare fermi per evitare di peggiorare la situazione ed aspettare così che tutto si risolva da sè.

Questa teoria delle 3F la ritrovo nella vita di noi umani e può esserci molto utile nell'affrontare la vita di ogni giorno.
Scappiamo quando non vogliamo affrontare qualche dolore troppo pesante, situazioni complesse sia nelle relazioni sia sul lavoro che nella quotidianità, scappiamo perchè è un istinto umano e spesso necessario per "mettere in salvo la nostra pelle", per concederci così il tempo e lo spazio di trovare la via migliore per agire agli urti della vita.
Combattiamo con denti ed unghie se necessario per difendere i nostri valori e chi siamo veramente.
Infine, capita anche di trovarci in situazioni spiacevoli in cui la miglior soluzione è "congelarci", per evitare così di dire parole o di fare azioni e gesti di cui poi potremmo pentirci, una sorta di pit stop obbligato per lasciar andare e darsi il tempo di riflettere prima di passare all'azione. Il famoso detto "prima di aprire bocca, assicurati che il cervello sia in modalità ON".

Budy, Merlino, Arringa, Shadow e Vanda La Vanda grazie dal profondo del cuore per i vostri insegnamenti e per essere stati ed essere dei veri spiriti guida.
Del resto la storia ci insegna che già nell'antico Egitto i gatti erano sacri, e questo vorrà pur significare qualcosa!

Shadow, Thailandia
Budy e Nadia, Thailandia

Vanda La Vanda, Toscana

Merlino e Arringa, Veneto

Merlino, Veneto

Arringa, Veneto

Budy con Gigetta, Thailandia

Vanda La Vanda, Toscana



Ky




venerdì 19 gennaio 2018

Nonostante tutto sia sempre lo stesso



Camminavo qualche giorno fa lungo un pezzo di confine thai-birmano, stesso posto stesso sentiero stessa panchina, stesso fiume che scorre lentamente da Sud direzione Nord, stesse barche che traghettano anime da una riva all'altra, stessi Caronte che chiedono l'obolo per il passaggio, soliti bambini che si tuffano nel fiume come fosse il mare più bello che abbiano mai visto, stesse mamme e donne che lavano i panni lungo la stessa sponda, stessi uomini mariti e compagni che cercano di rimediare la cena lanciando le reti.
Sembra sempre tutto dannatamente simile, quasi identico.
In questo caso non sono i dettagli che fanno la differenza, no.
La differenza la fa il mio sentire, ogni volta, "nonostante tutto sia sempre lo stesso"; le emozioni e sensazioni che vivo sono diverse, a volte con sfumature impercettibili , altre volte con picchi di dolore e con respiri di gioia.
La realtà è come viene percepita dal nostro interno, gli occhi in questo caso sono solo un tramite, un passaggio che suscita ogni volta emozioni diverse "nonostante tutto sia sempre lo stesso".
E penso a quante volte ho vissuto e vivo la vita fermandomi a qual "nonostante tutto sia sempre lo stesso", senza andare un passo oltre, senza sbilanciarmi verso la sponda opposta, forse perchè è più sicuro stare nel dove si conosce, nel luogo che i miei passi ben sanno, senza timore di inciampare o di cadere.
E se cado?
Il cadere implica un'azione successiva, il rimettersi in piedi.
Il difficile sta però nello spazio che esiste tra l'essere per terra ed il tentativo di rialzarsi.
Per me spesso è uno spazio infinito, come fosse una scala che sale e che da una lieve pendenza si inclina sempre più fino a divenire così ripida da dare sensazioni di vertigini al solo guardarla.
Eppure è la sola via per tornare in piedi, un pò come è la sola via per tutte quelle anime che necessitano di un Caronte per passare da una riva all'altra.
Allora è tempo di iniziare la traversata o la scalata, un passo, un altro ancora ed ancora ed ancora...
la soluzione sta nell'evitare di guardare troppo in là o troppo in alto per evitare le vertigini e iniziare a salire, a compiere il passaggio.

"Nonostante tutto sia sempre lo stesso", l'importante è godere del percorso, la meta poi arriverà quando i tempi saranno maturi, quando io, noi, saremo consapevoli che la differenza la possiamo fare solo guardando verso il dentro di noi, lì c'è spazio per tutte le domande e per tutte le risposte che cerchiamo e per guardare la vita e le sue esperienze con occhi rinnovati e più consapevoli "nonostante tutto sia sempre lo stesso".

Ky

lunedì 15 gennaio 2018

Come un vaso rotto (la bellezza ed il talento a volte stanno proprio nell'imperfezione, nelle crepe riempite con l'oro)




Cos'è l'imperfezione?
Spesso è qualcosa che fatichiamo ad accettare se riguarda noi stessi,
qualcosa invece che vediamo alla prefezione se si tratta degli altri.
A tal proposito mi viene in mente un'immagine, l'immagine di un simbolo: il TAO.

Questo simbolo di origine orientale e conosciuto in tutto il mondo, richiama
diverse immagini contrapposte ma inscindibili:
luce/ombra
vita/morte
ying/yang
vittoria/sconfitta
maschile/femminile
giorno/notte
e per me stanno a significare l'importanza della luce e dell'ombra che vive all'interno di ciascun essere umano.

Nell'ombra si intravede un piccolo seme di luce e nella luce si scorge il seme della tenebra.
Nostro compito è cogliere il seme di luce che si trova all'interno della zona d'ombra, questo presuppone che serve immenso coraggio per accogliere ed accettare le nostre imperfezioni, le nostre caratteristiche oscure che temiamo ma che ci appartengono, e che riteniamo socialmente non convenienti. Ma per quanto rifuggiamo da queste zone oscure, queste saranno sempre con noi, dunque tanto vale cercare di accettarle e farle uscire in modi che vadano oltre le convenzioni con il rischio di risultare a volte ridicoli.


E' meglio essere assolutamente ridicoli
che assolutamente noiosi.
(Merilin Monroe)


Impariamo ad abbracciare i nostri limiti, perchè al loro interno spesso c'è nascosto un valore, un talento che ha solo bisogno di essere man-tenuto e di trovare il suo spazio nel mondo e per divenire da brutto anatroccolo a splendido cigno.
La necessità urgente di questi tempi è la capacità di liberare la bellezza contenuta nella nostra imperfezione. 

A volte però non abbiamo tanto paura dell'ombra che ci abita dentro, ma della luce. Marianne Williamson descrive molto bene questa profonda paura attraverso parole che divengono poesia.



La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda
è di essere potenti sopra ogni limite.
E' la nostra luce, non la nostra oscurità,
che più ci spaventa.

Ci domandiamo "chi sono io per brillare,
per splendere di talento favoloso?"
In realtà chi sei tu per non esserlo?
Siamo figli di Dio.
Agire da piccolo uomo
non serve al mondo.
Non c'è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè
le persone intorno a noi si sentiranno insicure.

Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.

Se noi lasciamo la nostra luce splendere
inconsapevolemente diamo ad altre persone
la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.


Non ha importanza che temiamo le nostre ombre interiori o che la nostra più grande paura sia la luce che possiamo fare.
importa che qualunque sia la nostra posizione cerchiamo di rendere i nostri limiti, le nostre imperfezioni e paure, dei valori e dei talenti da far emergere per donarli al mondo.

La tendenza umana è spesso quella di soffermarsi a scovare le imperfezioni degli altri, di criticare le crepe che ci sono nel mondo e continuiamo così a sfornare solo lamentele. Ma anche se possiamo essere nel giusto, il mondo non diventa quello che vogliamo perchè noi recriminiamo contro le sue crepe. Il mondo può migliorare solo nel momento in cui scorgiamo all'interno delle sue crepe la bellezza che vi è custodita.
Troppo spesso viviamo con l'idea che il meglio sia puntare il dito contro gli altri, contro il sistema e questo ci porta solo verso una direzione: rendiamo invivibili le relazioni personali ed anche sentimentali.
Prima di arrivare a questo dovremmo imparare, come diceva più di 2000 anni fa un certo Gesù, a guardarci dentro ed accogliere le nostre imperfezioni e le nostre crepe per poi aiutare il nostro fratello a fare lo stesso.


Come puoi dire al tuo fratello: ~lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio~
mentre nel tuo occhio c'è la trave?
Ipocrita. Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene
per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
(Matteo 7,1-5)


Se facciamo un giro nell'antichità ci accorgiamo che anche Afrodite, meglio conosciuta da noi latini come Venere, aveva un leggero strabismo, eppure tutti noi la consideriamo da secoli come la dea della bellezza e dell'amore.
Altro esempio è il prode Achille ed il suo famoso punto debole, il tallone. Questa imperfezione non lo ha reso debole, ma anzi ha rafforzato il suo valore tanto da far perire in battaglia il suo temibile avversario Ettore.
Questo ci dimostra e c'insegna che la vera protagonista spesso è l'imperfezione.


In Giappone esiste un'antica tecnica, il kintsugi in cui i vasi rotti, ridotti a cocci, vengono riparati con una speciale colla contenente dell'oro. Questo rende i vasi con le crepe ripiene d'oro, ancora più preziosi e ricchi di valore.

Questa immagine mi fa pensare a come i nostri talenti sono nascosti dentro le crepe, solo che non hanno ancora trovato lo spazio per uscire alla luce o non sappiamo vedere la loro reale bellezza.
Come amo fare, affido ad un racconto il potere di spiegare in maniera semplice e chiara questi concetti.

Una anziana donna cinese possedeva due grandi vasi, appesi alle estremità di un lungo bastone che portava bilanciandolo sul collo.


Uno dei due vasi aveva una crepa, mentre l'altro era intero. Così alla fine del lungo tragitto dalla fonte a casa, il vaso intero arrivava sempre pieno, mentre quello con la crepa arrivava sempre mezzo vuoto.

Per oltre due anni, ogni giorno l'anziana donna riportò a casa sempre un vaso e mezzo di acqua.



Ovviamente il vaso intero era fiero di se stesso, mentre il vaso rotto si vergognava terribilmente della sua imperfezione e di riuscire a svolgere solo metà del suo compito. Dopo due anni, finalmente trovò il coraggio di parlare con l'anziana donna, e dalla sua estremità del bastone le disse: "Mi vergogno di me stesso, perché la mia crepa ti fa portare a casa solo metà dell'acqua che prendi".



L'anziana donna sorrise "Hai notato che sul tuo lato della strada ci sono sempre dei fiori, mentre non ci sono sull'altro lato? Questo succede perché, dal momento che so che tu hai una crepa e lasci filtrare l'acqua, ho piantato semi di fiori solo sul tuo lato della strada. Così ogni giorno, tornando a casa, tu innaffi i fiori.
Per due anni io ho potuto raccogliere dei fiori che hanno rallegrato la mia casa e la mia tavola. Se tu non fossi così come sei, non avrei mai avuto la loro bellezza a rallegrare la mia abitazione"



A questo punto due sono le vie percorribili:

possiamo vederci come brutti anatroccoli
possiamo avere difetti ed imperfezioni come Venere o come Achille

oppure possiamo trasformare queste imperfezioni in talenti inaspettati.

 magici strabismi
vulnerabili talloni e
crepe preziose
(Alessandro Chelo)

Solo scegliendo la seconda via possiamo donarci al mondo per chi siamo veramente:
bellissimi vasi rotti resi preziosi dall'oro che riempie ogni crepa. 

Ky

*immagini prese dal web
* le riflessioni presenti nel post sono state presentate da Alessandro Chelo al Tedx di Modena "Abbraccia i tuoi limiti, troverai i tuoi talenti"
Mi sono presa la libertà di personalizzarle un pò perchè le ho trovate molto vicine al mio pensiero ed alla mia esperienza di vita.




"Che cosa vuole il mondo da noi?" (Keep calm, goditi il viaggio e passa il favore)

Curioso. Decisamente curioso come un pensiero possa improvvisamente materializzarsi. È successo circa 3 mesi fa, dopo il mio rientr...