martedì 13 marzo 2018

Resistenti come le radici degli alberi (nonostante tutto, questa è la nostra forza invisibile)




Sarà ancora un pò colpa del jet lag ma sta iniziando a piacermi l'idea di svegliarmi senza necessità di bip e allarmi vari (spesso fastidiosi). Svegliarmi quando fuori ancora tutto è buio. Le luci nelle case sono ancora spente. Solo i lampioni lungo le strade emanano i loro chiarori resi tenui della foschia di queste mattine fredde del Nord-Est italiano.
Mi piace la quasi assenza di suoni e rumori. Solo un paio di motori d'auto che si dirigono verso il luogo di lavoro. Ed i miei passi ovattati dalle ciabatte che vagano per la cucina.
È da un pò di mattine che mi alzo così. Metto l'acqua sul fuoco. Attendo che bolla. C'infilo la bustina di tea. Attendo che passino i 5 minuti canonici per l'infusione. Verso il tea nella tazza e mi siedo vista natura sorseggiando la bevanda bollente. (Sono fortunata). Attendo così di vedere i primi spiragli di luce di un giorno nuovo che inizia. O forse è già iniziato da tanto. Mentre ancora dormivo sotto strati di coperte calde.
E poi ecco la luce che piano piano prende faticosamente posto tra la foschia. Saluta il buio. Dà il buongiorno al mondo. 
Davanti a me la collina su cui da bimba mi arrampicavo, quasi fosse il mio Everest impossibile. 
Collina che mi ha visto ridere e piangere. 
Collina che mi ha visto correre con i miei cani di un tempo o camminare a fianco di papà. 
Collina che ha ascoltato con infinita pazienza i primi tentativi di strimpellare pochi e stonati accordi sulla chitarra. 
Collina che mi ha accolto tra i suoi prati ed i suoi alberi. 
Collina che mi ha regalato piste innevate e fiori a perdifiato. Collina che mi ha concesso di raccogliere castagne, muschio e rami di pungitopo.
Collina che mi ha regalato l'occasione di scorgere volpi e caprioli, lepri e altri esseri del bosco.
Ora so che non è più quell'Everest impossibile. Ci salgo con un pò d'affanno, dato dal tempo che scorre anche per me. 
Ci salgo. Quando arrivo in cima sulla spianata verde salgo su un altare di pietre, lì da così tanto tempo che non saprei nemmeno dire. Altare di pietre da cui vedo quasi tutto il paese dove sono nata e cresciuta.
È una sensazione intima e profonda. Una di quelle sensazioni che nessuna parola descrive. Dunque è magia per me e mi piace pensare sia così ancora oggi, a distanza d'anni.
E penso agli alberi. Varie forme e dimensioni, diversi eppure capaci di condividere spazi comuni.
Gli alberi. Oggi sono spogli, quasi tutti, quasi del tutto. Da lontano sembrano secchi, vecchi e provati dall'inverno rigido e poco clemente. Alcuni curvi, quasi piegati su se stessi. Come vedere un vecchio ormai verso la fine della sua corsa.
Eppure sono vivi. Guardandoli bene si vede che respirano, che vivono e che hanno la capacità naturale di godersi ogni istante. Hanno la capacità di non fermarsi alle apparenze. Non è importante se le foglie sono cadute o se le foglie riempiono i rami di una chioma magnifica.
Importa quello che li sorregge e che li fa vivere. Quelle radici profonde, antiche, ben radicate eppure flessibili che non si vedono. Radici che creano quasi un mondo sotterraneo. Radici che quasi probabilmente sono lo specchio dei rami che si stagliano verso il cielo. Uno specchio tra terra e cielo.
Dovrei ricordarmi di più delle mie radici. Non quelle che mi fanno sentire appartenente ad un luogo fisico. Ma quelle radici che mi ricordano che nonostante ogni avversità, nonostante la paura, la crisi di questi tempi, le difficoltà e tutto ciò che ci sta dentro. Nonostante tutto ci sono radici profonde, antiche e forti che mi reggono in piedi. Che reggono in piedi ciascuno di noi.
Basta ricordarci di portarle alla luce per rinvigorirle, rinforzarle e dar loro quel calore necessario a proseguire lungo i percorsi dell'esistenza. In fondo le radici sono tutti i passi che facciamo ogni giorno, ogni istante, in ogni luogo del mondo.

Ky

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