Sarà ancora un pò colpa
del jet lag ma sta iniziando a piacermi l'idea di svegliarmi senza
necessità di bip e allarmi vari (spesso fastidiosi). Svegliarmi
quando fuori ancora tutto è buio. Le luci nelle case sono ancora
spente. Solo i lampioni lungo le strade emanano i loro chiarori resi
tenui della foschia di queste mattine fredde del Nord-Est italiano.
Mi piace la quasi assenza di
suoni e rumori. Solo un paio di motori d'auto che si dirigono verso
il luogo di lavoro. Ed i miei passi ovattati dalle ciabatte che
vagano per la cucina.
È da un pò di mattine che
mi alzo così. Metto l'acqua sul fuoco. Attendo che bolla. C'infilo
la bustina di tea. Attendo che passino i 5 minuti canonici per
l'infusione. Verso il tea nella tazza e mi siedo vista natura
sorseggiando la bevanda bollente. (Sono fortunata). Attendo così di
vedere i primi spiragli di luce di un giorno nuovo che inizia. O
forse è già iniziato da tanto. Mentre ancora dormivo sotto strati
di coperte calde.
E poi ecco la luce che piano
piano prende faticosamente posto tra la foschia. Saluta il buio. Dà
il buongiorno al mondo.
Davanti a me la collina su cui da bimba mi
arrampicavo, quasi fosse il mio Everest impossibile.
Collina che mi
ha visto ridere e piangere.
Collina che mi ha visto correre con i
miei cani di un tempo o camminare a fianco di papà.
Collina che ha
ascoltato con infinita pazienza i primi tentativi di strimpellare
pochi e stonati accordi sulla chitarra.
Collina che mi ha accolto tra
i suoi prati ed i suoi alberi.
Collina che mi ha regalato piste
innevate e fiori a perdifiato. Collina che mi ha concesso di
raccogliere castagne, muschio e rami di pungitopo.
Collina che mi ha regalato
l'occasione di scorgere volpi e caprioli, lepri e altri esseri del
bosco.
Ora so che non è più
quell'Everest impossibile. Ci salgo con un pò d'affanno, dato dal
tempo che scorre anche per me.
Ci salgo. Quando arrivo in cima sulla
spianata verde salgo su un altare di pietre, lì da così tanto tempo
che non saprei nemmeno dire. Altare di pietre da cui vedo quasi tutto
il paese dove sono nata e cresciuta.
È una sensazione intima e
profonda. Una di quelle sensazioni che nessuna parola descrive.
Dunque è magia per me e mi piace pensare sia così ancora oggi, a
distanza d'anni.
E penso agli alberi. Varie
forme e dimensioni, diversi eppure capaci di condividere spazi
comuni.
Gli alberi. Oggi sono
spogli, quasi tutti, quasi del tutto. Da lontano sembrano secchi,
vecchi e provati dall'inverno rigido e poco clemente. Alcuni curvi,
quasi piegati su se stessi. Come vedere un vecchio ormai verso la
fine della sua corsa.
Eppure sono vivi.
Guardandoli bene si vede che respirano, che vivono e che hanno la
capacità naturale di godersi ogni istante. Hanno la capacità di non
fermarsi alle apparenze. Non è importante se le foglie sono cadute o
se le foglie riempiono i rami di una chioma magnifica.
Importa quello che li
sorregge e che li fa vivere. Quelle radici profonde, antiche, ben
radicate eppure flessibili che non si vedono. Radici che creano quasi
un mondo sotterraneo. Radici che quasi probabilmente sono lo
specchio dei rami che si stagliano verso il cielo. Uno specchio tra
terra e cielo.
Dovrei ricordarmi di più
delle mie radici. Non quelle che mi fanno sentire appartenente ad un
luogo fisico. Ma quelle radici che mi ricordano che nonostante ogni
avversità, nonostante la paura, la crisi di questi tempi, le
difficoltà e tutto ciò che ci sta dentro. Nonostante tutto ci sono
radici profonde, antiche e forti che mi reggono in piedi. Che reggono
in piedi ciascuno di noi.
Basta ricordarci di portarle
alla luce per rinvigorirle, rinforzarle e dar loro quel calore
necessario a proseguire lungo i percorsi dell'esistenza. In fondo le
radici sono tutti i passi che facciamo ogni giorno, ogni istante, in
ogni luogo del mondo.
Ky
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