Marco Polo Venezia,
aeroporto.
Ieri. Dopo una settimana dal
mio rientro da Bangkok, eccomi di nuovo qui. Con Nadia, mia inseparabile compagna di viaggio, ed un'altra persona.
Nessuna partenza prevista,
almeno non per me, noi. Ma la tentazione di fare un biglietto al volo e
partire mi ha sfiorata per un istante.
Accompagno quest'altra persona.
Gli aeroporti mi piacciono.
Un pò perchè sanno di
internazionalità e multiculturalità. Tutto il mondo o quasi in
pochi metri quadrati.
Un pò perchè invitano
all'attesa. (A meno che non si sia dei ritardatari cronici).
L'attesa negli aeroporti a
volte pare eterna, ma comunque piena di piccoli step da compiere,
altrimenti "ciao volo".
Check in, consegna bagaglio
stiva, security control, ricerca del gate. Dove cavolo ho messo il
passaporto? E così via...
Insomma c'è un pò da darsi
da fare, almeno un minimo indispensabile.
Di aeroporti ce ne sono di
tutte le dimensioni. Quelli a misura d'uomo in cui, se tra un volo e
l'attesa di quello successivo, ci sono troppe ore di scarto ti trovi
a fare le "vasche", come essere in una di quelle
piazze di un tempo dove i giovani e le giovani in età da marito si
trovavano a fare le "vasche" per corteggiare e lasciarsi
corteggiare.
In realtà oggi è un
pochino diverso. Negli aeroporti si fanno le "vasche"
per corteggiare il proprio smarphone.
E poi ci sono quelli
immensi, queste megalopoli al coperto, dove non basta una settimana
per visitarli tutti. Dove all'interno ci sono shops, pub,
supermarket, lodge, massaggi, info point, smoking room, prayer room,
pronto intervento e chi più ne ha più ne metta. Giganteschi
complessi che, la prima volta che ci metti piede, ti viene da
esclamare "oh cavolo, e adesso dove vado?".
Mi sono arrivate alla
memoria tutte queste immagini, mentre ero in attesa che la persona
finisse il check in. In attesa vicino all'info point della compagnia
Emirates.
Qui una signora stava
chiedendo info. Il suo primo volo. Scalo a Dubai (gigantesco per chi
non ha mai volato prima d'ora). Attesa di molte ore e poi volo verso
una destinazione che non ricordo. L'età quella degli -anta. Il
suo evidente smarrimento negli occhi tipico "della mia prima
volta".
Ed ho apprezzato la voce
gentile e lo sguardo dolce della hostess che anche senza parole
riusciva a trasmettere senso di protezione e sicurezza a questa
donna un pò smarrita.
Credo abbia avuto la
prontezza e la capacità di pronunciare quella frase che forse tutti
vorremo sentirci dire una volta nella vita "non abbiamo
mai perso nessuno, signora".
Una frase così semplice e
lineare. Una frase che ha rassicurato anche me che non dovevo
partire. Frase che mi ha ricordato l'importanza e la necessità che
ogni essere umano ha bisogno di sentire in alcuni momenti difficili o
confusi della propria esistenza. Frase che ha saputo farsi quasi
compagna di viaggio, invisibile ma presente. Frase che ha il sapore
del "prendersi cura", del "non temere, non
sei sola", del "tutto
andrà bene perchè non abbiamo mai perso nessuno, signora".
Quante volte lungo questi
miei 40 anni di vita, ho sentito forte la necessità di un "non
abbiamo mai perso nessuno". È vero anche che dentro noi
dovremmo avere le risorse necessarie e sufficienti per cavarcela in
ogni situazione più o meno complessa. Ma è altrettanto vero che ci
sono momenti, istanti e situazioni che avere davanti gli occhi uno
sguardo dolce, una voce gentile e rassicurante, quasi come fossero
mani delicate che si poggiano sulla nostra spalla...bhè, questo vale
più di mille parole gettate al vento tanto per, più di mille
messaggi o whatsapp.
Vale tutto l'oro del mondo
trovare chi, almeno una volta nella vita, abbia la capacità
d'intuire le nostre fatiche, i nostri smarrimenti e di dirci con
calma e dolcezza "non abbiamo mai perso nessuno, signora".
E che buon viaggio sia!
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