Lo confesso:
non sono delusa che la nazionale di calcio maschile italiana
sia fuori dai prossimi mondiali.
(E scrivo da
ex-sportiva dilettante con discreti risultati cestistici).
Vedo questa eliminazione come una benedizione ed una
profonda opportunità!
Certo, anche se non ho seguito l’ultima disfatta calcistica,
essere in Tailandia non mi ha tenuto lontano, ahimè, dalla
valanga di
articoli, post, insulti, delusioni, ironici commenti,
riflessioni, teorie che questa mancata qualificazione mondiale ha portato con sé.
Sembra quasi peggio del terremoto che ha scosso l’Iran pochi
giorni fa,
quasi peggio delle centinai di morti che il Mediterraneo
porta con sé,
quasi peggio di…moltissime altre situazioni,
l’elenco è lungo, lunghissimo…fatelo voi.
Insomma una disfatta di Caporetto colossale
che segnerà per sempre la storia del calcio italiano,
ben inteso il Calcio con la “C” maiuscola, quello dei
maschi.
Già!
perché tutti gli altri sport di nazionali italiane maschili
e femminili di
basket, calcio, rugby e tutto il resto e delle persone
diversamente abili e dell’atletica
leggera e
della nazionale paralimpica sono… inferiori!?
Con una sostanziale differenza:
le altre nazionali sportive italiane stanno ottenendo e
raggiungendo ottimi risultati
ma pochi ne parlano.
Non fanno notizia, giusto notizie da bar sport di qualche
trafiletto sul quotidiano di turno.
Che strano!
Ma nemmeno questo riesce a farmi arrabbiare,
però riesce a farmi riflettere e prendere consapevolezza
di quanto i media, la televisione, i giornali
influenzino persino il nostro essere tifosi,
ovviamente tifosi accaniti verso il calcio maschile.
Non entro nel merito del perché la nazionale ha perso,
non ne ho le competenze,
ma mi permetto di fare una breve riflessione su quello che
è tempo che il mondo calcistico italiano inizi a fare
per ottenere nuovi risulti in futuro.
Questi spunti possono essere utili in realtà per ciascuno di noi.
Sono due le azioni da prendere in considerazione:
il cambiamento necessario e il potere della responsabilità.
Il cambiamento
necessario credo sia evidente a tutti, anche ai non addetti ai lavori.
La nazionale va stravolta, con menti e corpi più giovani e
freschi,
con nuove tattiche e strategie,
questo perché fa parte della naturale evoluzione di
qualunque cosa nella vita,
anche nel mondo del calcio.
Se si vuole ottenere risultati sempre al passo con i tempi,
è tempo allora di cambiamenti,
un po’ come si fa in famiglia con i cambi di stagione,
si sistema nell’armadio l’arredamento invernale,
si fanno le pulizie di primavera e si rivestono i mobili
di tovaglie pulite, di lenzuola fresche e leggere e via
dicendo…
insomma si dà aria nuova all’ambiente in cui si vive.
Il segreto è l’EVOLUZIONE,
l’attenzione nel rendersi conto quando una situazione,
una squadra, un evento non funzionano più con i vecchi metodi
e schemi,
ma necessitano di una bella ripulita per ripartire da zero e
costruire
i percorsi passo passo ed ottenere così gli obiettivi
prefissati.
La seconda azione riguarda
il potere della
responsabilità.
Temo che la nazionale sia stata investita, da un fantomatico
Re Artù,
di un’eccessiva responsabilità nei confronti del proprio
paese.
Questo è positivo se si è in grado di prendere la
responsabilità
solo per quello che riguarda se stessi:
il portiere ha la responsabilità di parare,
il difensore di difendere la porta,
l’attaccante di mettere la palla in rete,
ciascuno con il proprio ruolo ben definito ma allo stesso
tempo
con una buona capacità di flessibilità quando le situazioni
lo richiedono.
Eppure in campo ci sono sempre 12 giocatori,
12 uomini normali, senza nessun super-potere,
certo con doti calcistiche spiccate, ma questo non li rende
immuni dal peso
delle responsabilità,
quasi dovessero per forza dimostrare a noi italiani che con
loro
siamo in una botte di ferro.
C’è necessità di rispolverare un po’ il concetto di UMILTA’.
Stop!
sono uomini, non robot
sono uomini, non invincibili,
sono uomini, dunque fragili come noi:
sbagliano, falliscono, fanno goal,
sbagliano i tiri di rigore, esultano dopo la vittoria,
piangono dopo la sconfitta,
proprio come noi nelle nostre quotidianità.
Quindi è anche in qualche modo colpa nostra, di noi tifosi,
se la nazionale non si è qualificata per i mondiali.
Il ruolo di cui si fanno carico questi giocatori,
non è più solo il ruolo di gioco in campo,
ma il ruolo di cui noi, la società, i mass media,
i social li ha investiti ossessivamente
mettendo troppo spesso in campo la loro sfera privata
che di certo ha influito nel loro senso di responsabilità,
nella loro autostima e nell’immagine che la società gli ha
attribuito.
Il gossip è la
peggiore arma che ci sia oggi nel mondo,
un’arma che sa annientare piano piano, come un tarlo,
anche l’uomo più potente.
E questo di certo ha intaccato il loro senso originario di
responsabilità.
E’ solo attraverso il potere dell’azione collettiva e
condivisa che
si riduce il senso di
responsabilità personale.
Quindi sì, il mea
culpa lo dobbiamo fare tutti noi insieme a loro,
perché essere una nazione e credere in una nazionale è saper
gioire nella vittoria,
saper confortare nella sconfitta, saper essere uniti sempre
in ogni caso e
credere che dalla sconfitta non si può che imparare e
migliorare.
Ed ora, dopo queste riflessioni,
continuiamo a tifare con orgoglio per le NOSTRE nazionali
sportive,
se lo meritano davvero.
E ricordiamoci che una persona non si ammira per il ruolo
che ricopre in un
campo da gioco, ma per l’umanità che la rende unica nella
vita di tutti i giorni :
il ruolo non fa la
persona!
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