Io e mio fratello Gianni, 36 anni fa (Valrovina) |
Manca poco, ci
siamo quasi e, sopra una magnifica torta troverò 40 candeline (spero non di
colore rosa) che mi ricorderanno che è tempo, i 40 sono qui che bussano con
leggero fastidio nelle mia testa per ricordarmi che sarebbe ora di decidere
cosa vorrei fare “da grande”.
Da grande?!
Mmm, credo questa
sia una tra le peggiori espressioni o, modi di dire, che potevamo inventare.
Un’espressione che, se ci pensiamo bene, condiziona l’esistenza di tutti noi
fin da piccoli.
Quante volte i
nostri genitori o gli adulti in generale ci dicevano “hai già pensato cosa
vorresti fare da grande?” oppure “quando sarai grande tu farai…” ed ancora
“vedrai quando sarai grande quante responsabilità dovrai gestire”.
E via dicendo.
Non vi sembra
strano che già da piccoli ed innocenti frugoletti, gli adulti condizionino
inconsapevolmente le nostre menti, facendoci così credere che noi saremo adulti
doc solo nel momento stesso in cui troveremo il lavoro della nostra vita, meglio ancora se è quello che i nostri genitori desiderano per noi?!
Driin, driin…
Ecco che suona il
primo campanello d’allarme.
Non voglio
credere che io sarò riconosciuta solo in base al lavoro che sceglierò di fare
“da grande”.
Spesso incontro
conoscenti con cui il rapporto è ad un livello superficiale e di cortesia e le
frasi di rito sono “ciao, come va?” o “ciao come stai? e il lavoro?”…
Mmm, qualcosa non
quadra. Come va cosa? Il lavoro?
Manca il
passaggio zero.
Vi siete mai
chiesti perché in automatico si associa alla domanda “come stai? come va?” il
concetto di “lavoro”?
Semplicemente per
quelle frasi dette da genitori e parenti vari che il nostro cervello ha registrato
come importanti quand’eravamo bambini e che tornano inevitabilmente a galla al
primo “ciao, come va? E il lavoro?”.
Viviamo in una
società che ci riconosce molto spesso per il lavoro che facciamo e non per la
persona che siamo.
Cambiare prospettiva
è possibile.
Fortuna che c’è il rovescio della medaglia ed è racchiuso in una
frase che tengo sempre a mente: “Niente è così
contagioso come l’esempio”.
L’esempio: meno
parole e più azioni, meno condizionamenti e più esperienze.
Non sono e non saranno
mai le parole a fare di noi “chi siamo”, ma solo le azioni, i gesti e le
esperienze sono in grado di darci la direzione. Se poi siano quelle migliori per noi è
tutto da scoprire.
Sono cresciuta a
forza di sbagli e cadute, ma sono diventata “grande”, in fin dei conti ho quasi
40 anni e ne sento il peso. Un peso dato dalle esperienze vissute, dai lavori
svolti, dalle scuole frequentate, dai consigli non ascoltati, dalle decisioni
prese d’istinto, dalle persone incontrate. E tutto questo e molto altro mi
fanno essere la persona che sono oggi a quasi 40 anni.
Quando mi viene
chiesto che lavoro faccio, la mia risposta è sempre la stessa “non so cosa farò da grande ma so chi sono
oggi”.
Concludo queste riflessioni, a quasi 40 anni, con una bellissima frase di John Lennon:
"A scuola mi domandarono cosa volessi essere da grande.
Io scrissi: Felice.
Mi dissero che non avevo capito il compito,
e io risposi che loro non avevano capito la vita".
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