giovedì 7 dicembre 2017

Attraversare il fiume è sempre la scelta migliore





Non credevo che un viaggio potesse destabilizzare così tanto il mio mondo interiore, avevo la convinzione che un viaggio è solo un viaggio fatto d’incontri, nuove culture, diverse credenze religiose, sapori e gusti nuovi, paesaggi differenti ma davvero 5 anni fa non avrei mai creduto che il mio viaggiare tra Oriente ed Occidente avesse la capacità di darmi una nuova rotta.
Certo, non va solo al viaggio il merito di questa personale evoluzione, quasi un viaggio introspettivo-spirituale da cui, una volta iniziato, non voglio più tornare indietro.
Se ho iniziato questo modo nuovo di viaggiare lo devo a me, al mio sé interiore che finalmente ho scelto di ascoltare ed accogliere e a cui sto dando fiducia passo dopo passo.

Non lo vedo come un cambiamento, e poi questa parola nemmeno mi piace,
credo di più in un altro concetto: la consapevolezza.
Di fondo non si cambia mai così tanto, certo ci si modifica lungo i sentieri che decidiamo di seguire, che scegliamo di tracciare da zero o che decidiamo di non intraprendere, ed il bello non è tanto fare questi percorsi per poter dire “sono cambiata”, “sono una persona nuova”; il bello è poter dire di aver raggiunto una consapevolezza di sé più vera, più profonda, più naturale.
Questo per me è essere consapevoli.

Certo è che, spesso, ci portiamo sulle spalle troppi just in case, troppe zavorre,
troppi problemi -che magari nemmeno sono nostri-, troppi pensieri negativi, e magari aggiungiamoci pure critiche e difficoltà di relazioni interpersonali…
così non si fa molta strada, si resta sempre o quasi sulla sponda destra del fiume senza il coraggio di provare a vedere che opportunità offre la sponda sinistra (destra o sinistra, potete invertire l’ordine se preferite, poco importa).

Il Buddha  a tal proposito racconta una storia che ha come protagonisti un uomo, in cui poterci identificare, ed una zattera, a simboleggiare quello che dovremmo imparare a lasciar andare.

 “Supponiamo, disse, che un uomo sia di fronte ad un grande fiume e deve attraversarlo per raggiungere l’altra riva, ma non c’è una barca per farlo, cosa farà? Taglia alcuni alberi, li lega insieme e costruisce una zattera. “Quindi si siede sulla zattera e usando le mani o aiutandosi con un bastone, si sposta per attraversare il fiume. Una volta raggiunta l’altra sponda cosa fa? Abbandona la zattera perché non ne ha più bisogno.
Quello che non farebbe mai, pensando a quanto gli era stata utile, è caricarla sulle spalle e continuare il viaggio con lei sulla schiena. Allo stesso modo, i miei insegnamenti sono solo un mezzo per raggiungere un fine, sono una zattera che vi trasporterà sull’altra riva. Non sono un obiettivo in sé, ma un mezzo per ottenere l’illuminazione”.

Lo sappiamo a parole che sapersi distaccare da zavorre e pesi sarebbe la cosa migliore per vivere più serenamente, ma poi c’è sempre quel ma che ci fa vacillare, che ci fa perdere entusiasmo, che ci fa un po’ da avvocato del diavolo e spesso è proprio quel ma ad averla vinta su di noi, a farci restare impantanati nelle sabbie mobili delle nostre esistenze fatte di comodità, di oggetti, di lavoro, di relazioni complicate, di schemi convenzionali che spesso uccidono la nostra vera missione in questo pianeta.

Il Buddha spiega con poche righe il racconto:
“La riva sulla quale ci troviamo è il presente, l’esistenza legata all’ego, l’altra riva è quello che aspiriamo ad essere, rappresenta i nostri obiettivi e sogni. La zattera ci aiuta ad attraversare le acque, questa è la sua funzione, ma dopo dobbiamo abbandonarla“.

Sogni, obiettivi, potenzialità, chissà perché sono sempre nell’altra sponda
e costruire la zattera per attraversa il fiume è il solo modo per scoprire davvero chi siamo,
cosa siamo chiamati a fare  e che dono abbiamo da lasciare al mondo.

Certo ci vuole fegato anche solo per decidere di costruire la zattera che potrebbe segnare la svolta nelle nostre piatte esistenze, ma se non ci proviamo allora non abbiamo nemmeno il diritto di lamentarci e di piangerci addosso.
È vero che una volta messa la zattera nel fiume si deve avere la forza di lavorare di braccia per non farsi trascinare a valle dalla corrente spesso troppo impetuosa, eppure è anche vero che è una traversata che vale la pena tentare.
L’altra sponda potrebbe davvero aiutarci a capire qual’è il nostro vero IKIGAI (lo scopo per cui ci si sveglia ogni mattina).
E’un viaggio che vale la pena tentare, magari più volte se alla prima traversata cadiamo in acqua o ci lasciamo trascinare dalla corrente.
Spesso viviamo periodi di buio, non sappiamo in che direzione andare e per paura restiamo fermi dove siamo.

Questi momenti vengono descritti bene da un farse di Fabrizio Caramagna
Quei periodi neri in cui sei come un tronco braccato da ogni onda e sbattuto continuamente sulla riva, finché un giorno vieni finalmente spiaggiato, e le prime parole che ti vengono incontro non ti sbattono più da una parte all’altra e impari di nuovo la mano aperta che ti raccoglie e la spinta che ti rialza”

Il tentativo per me è già un forte segnale di voler lasciar andare il vecchio per dare spazio al nuovo, un  nuovo che sarà di certo differente per ciascuno di noi, ma su cui puntare tutto l’oro del mondo.

Buona traversata!

Ky


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